martedì 25 settembre 2007

Circolo chiuso di Coe

Circolo chiuso... forse è stato un errore leggerlo così a ridosso de La banda dei brocchi; devo capire perché, nonostante la leggerezza della narrazione, l’intreccio non scontato, i riferimenti sociali e politici precisi e malinconicamente graffianti, sono arrivata al fondo del libro con un senso di sgradevolezza. Pura assuefazione da troppo Coe concentrato?
Punto a): effetto telenovela, gli stessi personaggi che ruotano ruotano ruotano intorno alle vicende e non le vicende che ruotano intorno ai personaggi; così: si decide che i personaggi sono questi e faccio succedere delle cose che li giustifichino; non importa quanto dopo un po’ le cose che faccio succedere comincino a perdere di verosimiglianza. Sia detto, mica lo so quale l’ordine giusto (decido i personaggi e faccio succedere le cose oppure decido gli eventi e ci costruisco intorno i personaggi?), magari l’ideale è un’equilibrata, banalissima metà strada e nel Circolo chiuso si pende troppo da una parte.
Punto b): effetto claustrofobia. Magari è un effetto voluto, non a caso il titolo del romanzo è Circolo chiuso: chiusi i personaggi su se stessi e su un passato irrisolto dopo un po’ ti fanno incazzare. Quando si diventa grandi? Quando l’amore non ricambiato dell’adolescenza smette di essere la scusa buona per non prendersi delle responsabilità affettive? E perché l’amore di Paul deve essere “interno” alla storia, così esageratamente interno alle vicende familiari degli anni dell’adolescenza? E perché questo grottesco ritorno di Cecily?
Punto c): cambio totale della figura di Ben. Ovvero come immedesimarsi nei palpiti profondi di un adolescente ombroso, inquieto, intelligente, profondo, sfigato ma nel giusto, amante della musica e con velleità di scrittore e ritrovarsi un adulto coetaneo fallito, ma non dignitosamente fallito, bensì ridicolmente fallito, qualcosa che assomiglia abbastanza da vicino a un deficiente.
Forse è questa la sgradevolezza: forse Coe mi ha detto qualche verità scomoda. Chissà.

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