giovedì 24 aprile 2008

quando il burka soffoca troppo

Richard Dawkins, L'illusione di Dio,
pagine da 355 a 368, ovvero il capitolo finale, ovvero il capitolo che si chiama Un burka smisurato

segnarselo, ricordarselo, impararselo a memoria

farsi aiutare a vivere da questo capitolo

ricordarsi che Douglas Adams era amico di Dawkins

cici

Andrea è entrato riempendo il vano della porta, inghiottendo in un passo l’aria dell’ufficio piccolissimo, senza saper dove mettere le mani troppo grosse, tirando su i calzoni di un brevissimo tratto, quanto basta a farli immediatamente ricadere sotto la curva della pancia. Non mi ricordo se stavo leggendo su internet qualche bieca novità politica, o semplicemente cancellando nervosamente lo spamming dalle mie inutili tre/quattro caselle di posta elettronica. Si è lasciato cadere sulla sedia di fronte e ha detto: - non ne posso più -.
Sorrido e mi pervade una insana soddisfazione a sentire il prevedibile seguito: - non potremmo andarcene in un ufficio insieme io e te? -
- Chi ha litigato con chi questa volta? - gli chiedo.
Scuote la testa arrendendosi all’incapacità di definire in maniera precisa i contorni delle mutevoli diplomazie bellicose che si intrecciano nella sua stanza, una porta più in là, dove Andrea convive quotidianamente con cinque post quarantenni e una trentenne in naftalina.
Poi fa il gesto tipico delle quattro dita della mano che si aprono e si richiudono contro il pollice a simulare un cicaleccio: - è tutto un cici, cici, cici – e io annuisco perché lo so che è sempre questa contro quella e poi viceversa e poi quest’altra contro la tale e un incrocio di sguardi malevoli e frasette bisbigliate che avvelenano i giorni. E quel cici, cici, cici con la manina è l’immagine più immediata e calzante.
Mi vergogno dei pensieri che si articolano ordinati; il numero uno è “donne, porcamiseria, come si fa a negare questa evidenza dolorosa, che 5/6 donne insieme in una stanza non fanno una squadra e neanche un consolante gineceo, bensì un covo di vipere in reciproco sospetto e in perenne stato di lamentela pigolosa e urticante?”; il numero due è “ah, ah, ah, il povero ometto di turno viene da me perché mi vede diversa quindi io sono migliore di quel pollaio, sono un po’ mascolina o sono solo una persona meno stupida?”; poi si accavalla il pensiero numero tre: “quanto sono perfida, dovrei mettere alla porta Andrea e solidarizzare con le altre donne perché è così, dividendoci, mettendoci in competizione e facendoci sentire a turno migliori delle altre, che ci ingannano e ci schiacciano”; il pensiero numero quattro è: “siamo matti? le odio anche io, sono insopportabili galline, la verità va affrontata per quello che è”; e il pensiero numero cinque è: “cici, cici, cici.....”

giovedì 17 aprile 2008

elezioni politiche 2008

“La storia di tutte le maggiori civiltà galattiche tende ad attraversare tre fasi distinte e ben riconoscibili, ovvero le fasi della Sopravvivenza, della Riflessione e della Decadenza, altrimenti dette fasi del Come, del Perché e del Dove.
La prima fase per esempio è caratterizzata dalla domanda Come facciamo a procurarci da mangiare? La seconda dalla domanda Perché mangiamo? E la terza dalla domanda In quale ristorante pranziamo oggi?”

da Douglas Adams, Ristorante al termine dell’universo

lunedì 14 aprile 2008

michael clayton

Michael Clayton ha una trama già vista: un po’ Erin Brockovich, un po’ Il socio. Lo senti, nonostante lo sforzo del regista che mescola ad arte la sequenza temporale, presentando nei primi minuti del film gli avvenimenti finali e obbligandoti quindi a una certa concentrazione per mettere a posto i tasselli; alla fine i fatti sono ancora più lineari di quello che una spettatrice media può attendersi: insomma io avrei detto che era il suo stesso capo a volersi liberare di Clayton e invece il mandante era quello più scontato, e poi il colloquio finale fra Clooney e Swinton puzzava di trappola lontano un miglio.
Ma forse, a parte l’innegabile principio etico e civile, la trama contava di meno e doveva esserci in primo piano l’ambiguità del personaggio principale, la posizione borderline dell’avvocato “spazzino”, il bisogno di soldi a tacitare la coscienza.
Clooney giganteggia e, mi sembra, non sorride mai per tutto il film.