venerdì 1 giugno 2012

Benvenuto multiverso. Brian Greene, Newsweek Magazine

Benvenuto multiverso. I più recenti sviluppi nella cosmologia puntano alla possibilità che il nostro universo sia solo uno fra miliardi. di Brian Greene, Newsweek Magazine, 21 maggio 2012 Traduzione “Ciò che davvero mi interessa è se Dio avesse scelta nel creare il mondo” E’ così che Albert Einstein, nel suo caratteristico stile poetico, si chiedeva se il nostro sia l’unico universo possibile. Il riferimento a Dio è facilmente equivocabile, poiché la domanda di Einstein non era teologica. In realtà, Einstein voleva sapere se le leggi della fisica necessariamente conducono a un unico universo – il nostro – composto di galassie, stelle e pianeti. O invece, come il catalogo annuale di nuove automobili nelle mani del venditore, le leggi potrebbero consentire universi con un’ampia varietà di diverse caratteristiche? E se così fosse, l’immensa realtà che siamo giunti a conoscere – attraverso telescopi potenti e mastodontici collisori di particelle – è il prodotto di un qualche processo casuale, un tiro di dadi cosmico che ha selezionato le nostre caratteristiche da un menù di possibilità? O c’è una spiegazione più profonda per la quale le cose sono così come sono? Al tempo di Einstein la possibilità che il nostro universo avrebbe potuto essere diverso era una “follia” della mente che i fisici avrebbero potuto mettere in giro molto dopo che fossero state fatte delle ricerche più serie. Ma recentemente la questione è passata dalla periferia al centro della ricerca fisica. E piuttosto che immaginare semplicemente che il nostro universo avrebbe potuto avere proprietà differenti, i sostenitori di tre studi indipendenti ora suggeriscono che ci siano altri universi, separati dal nostro, per lo più fatti di tipi diversi di particelle e governati da forze diverse, che popolano un cosmo enorme in maniera inimmaginabile. Il multiverso, come è chiamato questo immenso cosmo, è uno dei concetti più controversi emerso dalla fisica nei decenni, che suscita infuocati dibattiti fra chi sostiene che sia la nuova fase nella nostra comprensione della realtà e chi invece assicura che si tratti di una totale sciocchezza, una caricatura di teorici che hanno lasciato correre liberamente la loro immaginazione. Quindi qual è la verità? E perché dovremmo occuparcene? Cercare di cogliere la verità richiede che prima affrontiamo la questione del big bang. In cerca del “bang” Nel 1915 Einstein pubblicò il più importante fra tutti i suoi lavori, la teoria generale della relatività, che fu il culmine di una ricerca decennale nella comprensione della forza di gravità. La teoria era una meraviglia di bellezza matematica, fornendo equazioni che potevano spiegare tutto con stupenda accuratezza, dal moto dei pianeti alla traiettoria della luce delle stelle. In pochi anni studi matematici aggiuntivi conclusero che lo spazio stesso era in espansione, e che ogni galassia si stava allontanando da ogni altra. Sebbene all’inizio Einstein avversasse questa implicazione sorprendente della sua stessa teoria, le osservazioni dello spazio profondo compiute dal grande astronomo americano Edwin Hubble nel 1929 la confermavano. E in breve gli scienziati conclusero che, se lo spazio si sta espandendo, allora in tempi remoti l’universo deve essere stato più piccolo. Nello medesimo ipotetico istante, in un tempo remotissimo, tutto ciò che osserviamo – gli ingredienti alla base di ogni pianeta, ogni stella, ogni galassia, lo spazio in sé - deve essere stato compresso in un granello infinitesimo che si dilatò evolvendo nell’universo come lo conosciamo. Era nata la teoria del big-bang. Durante i successivi decenni la teoria avrebbe ricevuto entusiastiche conferme sperimentali. Tuttavia gli scienziati erano consapevoli che la teoria soffriva di un limite significativo: spiegava tutto fuorché il bang. Le equazioni di Einstein fanno un magnifico lavoro nel descrivere come l’universo si sia evoluto a partire da una frazione di secondo dopo il bang, ma falliscono (come un messaggio di errore restituito da una calcolatrice quando cerchi di dividere 1 per 0) se applicate alla condizione limite del primissimo momento dell’universo. La teoria del big-bang quindi non fornisce nessuna visione di ciò che potrebbe aver provocato il bang stesso. Combustibile per il fuoco Negli anni 80 il fisico Alan Guth offrì una versione migliorata della teoria del big-bang, chiamata cosmologia inflazionistica, che prometteva di colmare questo gap critico. La colonna portante della proposta è un ipotetico combustibile cosmico che, se concentrato in una regione minuscola, porterebbe a una brevissimo ma incredibile esplosione esterna dello spazio – un bang, e molto grande. Infatti i calcoli matematici mostravano che l’esplosione sarebbe stata così intensa che una minuscola vibrazione a livello quantistico si sarebbe allungata enormemente espandendosi nello spazio. Come un tessuto tiratissimo che mostra la struttura della sua tessitura, così l’espansione cosmica mostrerebbe una trama precisa di minuscole variazioni di temperatura, punti leggermente più caldi e punti leggermente più freddi che punteggiano l’oscurità. Nei primi anni 90, il satellite della Nasa esploratore del fondo cosmico a microonde trovò per primo queste variazioni di temperatura, consentendo a John Mather e George Smoot l’ottenimento del Premio Nobel. Incredibilmente le analisi matematiche rivelarono anche – ed è qui che entra il multiverso – che, a mano a mano che lo spazio si espande, il carburante cosmico si reintegra, e in maniera talmente efficiente che è teoricamente impossibile consumarlo tutto. Ciò significa che il big-bang potrebbe non essere un unico evento. Al contrario il carburante potrebbe non soltanto scatenare l’esplosione che ha dato luogo alla nostra struttura di universo in espansione, ma anche dare energia a innumerevoli altre esplosioni, ognuna delle quali conduce al suo separato universo in espansione. Il nostro universo sarebbe allora una singola bolla in un grande bagno di bolle cosmiche – un multiverso. E’ una prospettiva impressionante. Se corretta, fornirebbe la struttura per una lunga serie di riconsiderazioni cosmiche. Una volta pensavamo che il nostro pianeta fosse il centro di tutto, per renderci poi conto che eravamo uno dei molti pianeti orbitanti attorno al sole; per poi scoprire che il sole, parcheggiato alla periferia della Via Lattea, è solo una di centinaia di miliardi di stelle nella nostra galassia; per scoprire poi che la Via Lattea è solo una fra centinaia di miliardi di galassie che abitano l’universo. Ora la cosmologia inflazionistica sta suggerendo che il nostro universo, pieno di quei miliardi di galassie, stelle e pianeti, potrebbe soltanto essere uno dei molti che occupano un vasto multiverso. Tuttavia quando il multiverso fu proposto nei primi anni 80 dai pionieri Andrei Linde e Alexander Vilenkin, la comunità di fisici non diede importanza all’idea. Gli altri universi, posto che esistano, starebbero fuori da ciò che possiamo osservare – noi abbiamo accesso solo a questo universo. Apparentemente, quindi, non ci influenzerebbero e noi non li influenzeremmo. Che ruolo potrebbero giocare quindi gli altri universi nella scienza, che è una disciplina rivolta a spiegare ciò che possiamo osservare? Ed è qui che le cose si fermarono per circa un decennio, finché una sorprendente osservazione economica suggerì una risposta. Il mistero dell’energia oscura Sebbene la scoperta che lo spazio è in espansione fosse rivoluzionaria, c’era un aspetto dell’espansione che la maggior parte prese per scontato. Proprio come la spinta della gravità della Terra rallenta la salita di una palla lanciata verso l’alto, la spinta gravitazionale di ogni galassia su tutte le altre deve star rallentando l’espansione dello spazio. Negli anni 90 due gruppi di astronomi cercarono di misurare il tasso di questo rallentamento cosmico. Attraverso anni di accurate osservazioni delle galassie distanti, raccolsero dati su come il tasso di espansione dello spazio fosse cambiato nel tempo. E, quando completarono l’analisi, quasi caddero dalle loro sedie. Entrambi i gruppi trovarono che, lungi dal rallentare, l’espansione dello spazio era cominciata circa sette miliardi di anni fa e da allora era andata accelerando. E’ come lanciare in maniera lieve verso l’alto una palla, vedendola dapprima rallentare, ma poi lanciarsi verso l’alto sempre più velocemente. Il risultato spinse gli scienziati in tutto il mondo a cercare di spiegare l’accelerazione cosmica. Quale forza potrebbe star guidando ogni galassia ad allontanarsi ognuna dall’altra sempre più velocemente? La risposta più promettente ci viene da una vecchia idea di Einstein. Noi siamo abituati a pensare alla gravità come a una forza che fa una sola cosa: spinge gli oggetti uno verso l’altro. Ma nella teoria della relatività generale di Einstein, la gravità può anche fare qualcosa d’altro: può allontanare le cose. Come? Bene, la gravità esercitata da oggetti familiari come la luna, la terra, e il sole è sicuramente attrattiva. Ma le equazioni di Einstein mostrano che se lo spazio contiene qualcosa d’altro – non blocchi di materia, ma una energia invisibile, una specie di foschia invisibile diffusa uniformemente attraverso lo spazio – allora la gravità esercitata dalla nebbia energetica sarebbe repulsiva. Che è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per spiegare le osservazioni. La gravità repulsiva di un’invisibile foschia energetica che riempie lo spazio – che chiamiamo energia oscura – spingerebbe ogni galassia lontana dalle altre, conducendo l’espansione ad accelerare, non a rallentare. Ma c’è un ostacolo. Quando gli astronomi calcolarono quanta energia oscura dovrebbe permeare ogni angolo e fessura dello spazio per giustificare l’accelerazione cosmica osservata, trovarono un numero che nessuno era stato in grado di spiegare. Nemmeno approssimativamente. Espresso in appropriate unità la densità dell’energia oscura è straordinariamente piccola: 0 virgola seguito da 122 zeri seguiti da 138 Allo stesso tempo, i tentativi dei ricercatori di calcolare l’ammontare dell’energia oscura a partire dalle leggi fisiche hanno condotto a risultati che sono tipicamente cento ordini di grandezza più grandi, forse il più grande mismatch tra teoria e osservazione nella storia della scienza. Questo ha condotto a un esame di coscienza. I fisici hanno a lungo pensato che attraverso un lavoro sufficientemente duro, esperimenti ed elaborati calcoli, nessun dettaglio sull’aspetto fondamentale della realtà resterebbe fuori dalla spiegazione scientifica. Certamente molti particolari ancora mancano di spiegazione, come le masse di particelle quali elettroni e quark. Tuttavia l’aspettativa è sempre stata che aspettando un lasso di tempo congruo i fisici troveranno prima o poi la spiegazione. Lo spettacolare fallimento dei tentativi di spiegare la quantità di energia oscura ha fatto sorgere dubbi su questa tranquillità, portando alcuni fisici a perseguire un approccio esplicativo radicalmente diverso, uno che suggerisca (ancora una volta) la possibile esistenza di un multiverso. La soluzione del multiverso Il nuovo approccio ha radici scientifiche che affondano indietro fino agli inizi del diciassettesimo secolo, quando il grande astronomo Keplero era ossessionato dalla comprensione di un altro numero: i 93 milioni di miglia fra Sole e Terra. Keplero si sforzò per anni per spiegare scientificamente il perché di questa distanza ma non ci riuscì mai, e dalla nostra posizione moderna la ragione è chiara. Ora noi sappiamo che c’è una grande quantità di pianeti, che orbitano attorno alle loro stelle ospitanti, a distanze molto diverse, dimostrando la fallacia della ricerca di Keplero – le leggi della fisica non identificano nessuna particolare distanza come speciale. Invece ciò che caratterizza la distanza Terra-Sole è semplicemente che essa conduce a condizioni favorevoli alla vita: fossimo più vicini o più lontani dal Sole, le temperature estreme impedirebbero le forme di vita. Così, sebbene Keplero fosse alla vana ricerca di una spiegazione fondamentale per la distanza Terra-Sole, c’è una spiegazione sul perché noi umani ci troviamo a tale distanza. Alla ricerca di una spiegazione per il valore dell’energia oscura, forse stiamo commettendo un errore analogo a quello di Keplero. La nostra migliore teoria cosmologica – la teoria inflazionistica – dà origine naturalmente ad altri universi. Forse quindi così come ci sono molti pianeti che orbitano intorno alle stelle a diverse distanze, forse ci sono molti universi che contengono diverse quantità di energia oscura. Se è così, chiedere alle leggi della fisica di spiegare un particolare valore dell’energia oscura sarebbe deviante come cercare di spiegare una particolare distanza planetaria. Invece la giusta domanda da chiedersi è: perché noi umani ci troviamo in un universo con quella data quantità di energia oscura che abbiamo misurato, invece di ogni altra possibilità? Questa è una domanda che possiamo affrontare. In universi con quantità maggiori di energia oscura, qualunque materia cerchi di condensarsi in galassie, la spinta repulsiva dell’energia oscura è così forte che i blocchi esplodono allontanandosi, impedendo la formazione delle galassie. In universi il cui valore dell’energia oscura è molto più piccolo, la spinta repulsiva si trasforma in forza attrattiva, facendo sì che quegli universi collassino su se stessi così velocemente che di nuovo non è possibile la formazione di galassie. E senza galassie, non ci sono stelle, non ci sono pianeti, e così in quegli universi non c’è possibilità di esistenza per la nostra forma di vita. Per questo ci troviamo in questo universo e non in un altro, per la stessa ragione per la quale ci troviamo sulla Terra e non su Nettuno – ci troviamo dove le condizioni sono mature per la nostra forma di vita. Anche senza essere capaci di osservare altri universi, la loro esistenza giocherebbe quindi un ruolo scientifico: offre la soluzione al mistero dell’energia oscura, rendendo comprensibile la quantità che noi osserviamo. O questo è quello che i proponenti la teoria del multiverso sostengono. Molti altri trovano insoddisfacente questa spiegazione, sciocca, perfino offensiva, affermando che la scienza deve dare spiegazioni definitive, precise e quantitative, non storielle qualunque. Ma il contrappunto essenziale è che l’aspetto che stai cercando di spiegare può assumere, e di fatto assume, una tale varietà di valori matematici attraverso il paesaggio della realtà, che cercare una spiegazione definitiva per un valore è perverso, testardo. Proprio come non ha senso cercare una formula definitiva per la distanza alla quale i pianeti orbitano intorno alle loro stelle ospitanti, giacché ci sono molte possibili distanze, se siamo solo una parte di un multiverso non ha senso cercare una predizione definitiva del valore dell’energia oscura, giacché ci sono molti possibili valori. Il multiverso non cambia il metodo scientifico né abbassa gli standard esplicativi. Ma ci chiede di riconsiderare se abbiamo erroneamente posto la domanda sbagliata. Sospesi alle corde Ovviamente perché questo approccio abbia successo dobbiamo essere sicuri che fra i molti diversi valori dell’energia oscura nel multiverso ci sia quello che abbiamo misurato. E qui emerge una terza linea di investigazione, la teoria delle stringhe. La teoria delle stringhe è un tentativo di realizzare il sogno di Einstein di una teoria unificata capace di cucire insieme materia ed energia in un singolo arazzo. Inizialmente formulata negli ultimi anni sessanta, la teoria immagina che nel profondo interno di ogni particella fondamentale ci sia un minuscolo, vibrante filamento di energia simile a una corda. E così come le diverse modalità di vibrazione di una corda di violino producono differenti note, allo stesso modo le diverse modalità di vibrazione di queste minuscole corde produrrebbe diversi tipi di particelle. I pionieri della questione anticiparono che la rigida architettura matematica della teoria delle stringhe avrebbe presto portato un unico insieme di predizioni definitive e osservabili. Ma mano a mano che gli anni passavano, analisi dettagliate delle equazioni della teoria mostravano numerose soluzioni, ognuna delle quali rappresenta un possibile diverso universo. E numerose vuol dire numerose. Oggi, il conteggio di possibili universi si aggira incomprensibilmente a circa 10.500. Per molti fautori della teoria delle stringhe, questo stupendo fallimento dell’idea dell’universo unico – il nostro - fu una batosta devastante. Ma per chi sosteneva il multiverso, l’enorme diversità di possibili universi proveniente dalla teoria delle stringhe si rivelava vitale. Proprio come ci vuole un negozio di scarpe con un ampio magazzino per garantirti che troverai la tua misura, così un multiverso con un ampio magazzino può garantire che ci sarà anche il nostro universo, con la sua precisa quantità di energia oscura. La cosmologia inflazionistica da sola non rispondeva a questa necessità, perché, se la sua infinita serie di big-bang produce un’immensa casuale quantità di universi, molti potrebbero avere caratteristiche simili, come un negozio di scarpe con cataste di misure cinque e tredici, ma niente della misura che cerchi. Mettendo insieme la cosmologia inflazionistica e la teoria delle stringhe il magazzino di universi trabocca di possibilità: con il ricorso alla teoria inflazionistica l’enorme varietà di possibili universi della teoria delle stringhe si trasforma in universi effettivi, che nascono da un big-bang all’altro. Il nostro universo è quindi teoricamente garantito nella sua esistenza. E a causa delle speciali caratteristiche necessarie alla nostra forma di vita, questo è l’universo che abitiamo. Scienza ad alto rischio Anni fa Carl Sagan sottolineò che ipotesi straordinarie richiedono prove straordinarie. Così, possiamo raccogliere prove a sostegno di una proposta che chiami in causa altri universi? Dato che gli altri universi risiederebbero in qualche modo al di fuori di ciò quello che possiamo osservare, sembrerebbe che la risposta sia no, ponendo il multiverso fuori dai confini della scienza. Ma sarebbe troppo frettoloso. Le prove per un’ipotesi devono essere raccolte anche se alcune sue importanti caratteristiche sono inaccessibili. Prendiamo i buchi neri. Gli scienziati solitamente usano la relatività generale per parlare con sicurezza di ciò che accade in un buco nero, anche se niente, nemmeno la luce, può sfuggire dall’interno di un buco nero, rendendo queste regioni inosservabili. La spiegazione è che una volta che una teoria accumula un grande numero di accurate predizioni su quello che possiamo osservare, come ha fatto la relatività generale, noi siamo giustificati a raggiungere una certa sicurezza nelle previsioni della teoria anche riguardo a cose che non possiamo osservare direttamente. Allo stesso modo se un’ipotesi che chiama in gioco il multiverso si guadagna la nostra fiducia facendo previsioni corrette riguardo a cose alle quali abbiamo accesso, cose presenti nel nostro universo, allora giustamente crescerà anche la nostra fiducia nelle sue predizioni su altri universi, livelli di realtà ai quali non abbiamo accesso. Per ora siamo lontani dall’attraversare questa soglia. La cosmologia inflazionistica fa previsioni accurate circa la radiazione di fondo a microonde; l’energia oscura spiega in maniera accurata l’accelerazione dell’espansione. Ma la teoria delle stringhe rimane ipotetica, soprattutto perché i suoi aspetti caratteristici più importanti si manifestano a scale di grandezza miliardi di volte più piccole di ciò che possiamo provare anche con i nostri più potenti acceleratori. Una prova più diretta per il multiverso potrebbe arrivarci da potenziali collisioni tra il nostro universo in espansione e i suoi vicini. Questi “urti” cosmici genererebbero una struttura addizionale di variazioni di temperatura nella radiazione di fondo a microonde che un giorno potrebbero venire catturata da sofisticati telescopi. Molto considerano questa la più promettente possibilità di trovare una prova a supporto del multiverso. Immaginiamo che quando la mela cadde sulla testa di Newton, egli non fosse stato ispirato a sviluppare la legge di gravità, e ragionasse invece sul fatto che alcune mele cadono, altre salgono, e noi osserviamo l’evento caduta semplicemente perché quelle che salgono sono già partite per altri spazi. Questo esempio è una battuta ma la questione è più seria: usato in maniera indiscriminata, il multiverso può essere un pretesto che allontana gli scienziati dal cercare spiegazioni più profonde. Nelo stesso tempo però escludere il multiverso può porre gli scienziati su una routine kepleriana, cioè a cercare furiosamente risposte a domande senza risposta. Questo per dire che il multiverso ricade in pieno nell’ambito della scienza ad alto rischio. Ci sono numerosi sviluppi che potrebbero indurre a abbandonare l’ipotesi: gli scienziati che infine calcolano il valore corretto dell’energia oscura, o confermano una versione della teoria inflazionistica che conduce a un solo universo, o scoprono che la teoria delle stringhe non implica più una moltitudine di possibili universi. E così via. Ma come accade per ogni scommessa razionale, l’alto rischio è connesso a un alto premio. Durante i passati cinque secoli abbiamo usato il potere dell’osservazione e i calcoli matematici per rompere i luoghi comuni. Da un antiquato, piccolo universo Terra-centrico a uno pieno di miliardi di galassie il viaggio è stato insieme elettrizzante e umiliante. Siamo stati obbligati a rinunciare al sacro credo nella nostra centralità, ma grazie a questo terremoto cosmico abbiamo dimostrato la capacità dell’intelletto umano di andare ben oltre i confini dell’esperienza quotidiana per rivelare verità straordinarie. L’ipotesi del multiverso può essere errata. Ma potrebbe anche essere il prossimo passo in questo viaggio, svelando un panorama mozzafiato di universi che popolano un immenso paesaggio cosmico. Per alcuni scienziati, incluso me, questa possibilità vale il rischio.

giovedì 31 maggio 2012

Tu, sanguinosa infanzia - Michele Mari

Preziosa raccolta di ricordi di infanzia, quando l’infanzia era popolata anche da solitudini e silenzi, pause, stanze buie e tanto tempo a disposizione per macinare oziose e mirabolanti fantasie e trasformare piccole paure in incubi. La distanza tra letteratura e narrativa di grido fa sì che qui lo spunto autobiografico esploda in una profondità di immagini e di suggestioni da cui siamo tutti abitati, noi che l’infanzia abbiamo vissuto più o meno in quegli anni. Sono rimasta a bocca aperta nel leggere il pezzo relativo alle copertine Urania, divertita e catturata dall’esegesi de Il capitan della compagnia, commossa dall’ultimo capitolo… Stile sempre altissimo.

lunedì 28 maggio 2012

Dove eravate tutti, Paolo Di Paolo

Il fatto è che io questi anni li ho invece vissuti in apnea. Come un incidente di percorso nella storia. Come una parentesi non significativa, chiudere gli occhi, stringere i denti e sicuramente la nottata passa. Intanto la nottata si allungava, si allungava e scorreva tutta la mia età adulta. Così leggo questo simpatico libro adolescenziale e mi accorgo che per qualcuno nato in questo ventennio, e cresciuto e ormai adulto, politica e società civile significano (come dato di fatto, né buono né cattivo solo vero), esattamente il grottesco insieme al quale sono invecchiata sentendomi sempre fuori posto. Romanzo fresco, privo di cinismo, quasi ingenuo nella rappresentazione idealistica degli affetti familiari; interessante nella struttura; scivola con grazia ma lascia trasparire una sottofondo robusto.

martedì 6 marzo 2012

Verderame, Michele Mari

Bellissimo romanzo, colto e lieve, denso e stupito, fermo in una noiosissima casa di campagna eppure roboante come la più sognante delle avventure, tutto racchiuso in un rapporto fra due protagonisti eppure largo come una intera umanità, arricchito dal dialetto e insieme alto nello stile e nella lingua. Unico difetto: la brevità. Mari, una grande conferma!

lunedì 23 gennaio 2012

Baricco, Mr. Gwyn

“...le sembrerà scemo ma alla fine io mi sarei aspettata che lei almeno mi abbracciasse...” (pag.103)
Bariccata totale: piccolo romanzo elegante, criptico e mai così autoreferenziale.
Denso di simboli sul mestiere dello scrittore cantastorie, sulle aspettative del lettore, sull’incolmabile e ambigua distanza fra chi scrive e chi legge.
Prendere o lasciare.
Io prendo.

lunedì 2 gennaio 2012

olive kitteridge, elizabeth strout

Una donna che si avviasse verso la vecchiaia a leggerlo potrebbe cadere nella disperazione.
Molto intenso e scritto benissimo.
Molta tecnica che ogni tanto è troppo evidente: cominciare tutte le storie dal centro della vicenda dando per scontato il già avvenuto, ma lasciando cadere i dettagli passati a piccole dosi e in maniera fintamente casuale, per rendere comprensibili i fatti.
Molto simile a Alice Munro.
Ma le pagine di Alice Munro hanno qualcosa in più, non saprei che cosa, forse meno tecnica, forse più mistero, forse più sincerità.