lunedì 30 luglio 2007

noialtri, dovlatov

Caro Dovlatov, se mai un Dovlatov dovesse esserci nella scarna stirpe di cui faccio parte, sarei contenta se mi descrivesse come il tuo bizzarro cugino Boris, che diventa grandissimo quando è nelle situazioni peggiori, che è il primo in assoluto e si rovina per il gusto del gesto imprevedibile e di assoluta libertà.
Chissà invece quanto sono monotona e serva dentro per chi mi osserva!
Vorrei anche io essere capace di parlare del mio mondo, ammesso di riconoscere quale esso sia veramente, così da dentro, dal basso, senza morali, senza rinnegare, sorridendo, sentendosi una parte viva del tutto, elencando con leggerezza i fallimenti, le disavventure politiche e familiari, l'angusto regime sotto il quale ci è dato nascere come fossero i tasselli inevitabili, incomprensibili e secondari di un senso della vita molto più a portata di mano di quel che crediamo.

un'alba frettolosa

Ho letto diversi mesi fa la recensione di Raimo su Nazione Indiana e arrivo a leggere La scoperta dell'alba con questo giudizio negativo molto convincente. Quindi con pregiudizio.
Non credo che Veltroni desiderasse farsi annoverare fra i geni della letteratura italiana di inizio millennio. Né mi interessa sapere fino in fondo perché uno che ha il potere (piccolo o grande che sia) abbia bisogno di far finta di essere un romanziere; mi chiedo se il piacere schifoso e suadente che deriva dall’esercizio del comando, dal potere della decisione, dal gusto di essere sotto i riflettori nel bene e nel male non corrompa la persona fino a non lasciare posto per cose alte e belle come immaginarsi una storia di sentimenti e decidere di spendere del tempo a metterla su carta.
Tempo: questa è la domanda. Ho impiegato meno di due ore a leggere La scoperta dell’alba e prima ancora di decidere qualunque giudizio la storia è precipitosamente finita. Eppure di possibilità di sviluppo ce ne erano tante: la figlia down, il figlio solitario, generoso e “calvinista”, la moglie assente e fredda, gli anni di piombo, i mille rivoli dei ricordi degli anni settanta, il personaggio della figlia del professore ucciso, il personaggio della brigatista: tutto risolto in poche semplici battute. Insomma glielo chiederei a Veltroni perché si è imbarcato in questa avventura e poi l’ha lasciata incompiuta così: una bozza di discorso.
Però preferisco che abbia tempo per altre cose più urgenti e prendo questa bozza schematica di romanzo per quello che mi appare soprattutto: un se stesso sinceramente raccontato. Risolviamole così: non ho letto un romanzo, ho fatto una chiacchierata intima e commossa con Veltroni su un balcone rovente in un triste pomeriggio di fine luglio. Mi basta.

venerdì 27 luglio 2007

da non spedire

Cara Margherita,
che ti rispondo a fare? Mi mandi puntuale queste tue cartoline saluto, questi tuoi auguri implacabili: Natale-compleanno-Pasqua-onomastico. Perché lo fai? Sai che mi metti malinconia? Mi immagino tutto il tempo che hai, tutto quel tempo sprecato a fermarsi in una cartoleria e scegliere e comprare un cartoncino colorato in tema con l’augurio da fare, tornare a casa, trovare un angolo di tavolo pulito, sgombro da briciole e compiti e fotocopie e avanzi di ogni cosa che a casa mia riempiono gli spazi orizzontali sempre a dispetto dei miei tentativi di riordino, ma tu avrai innumerevoli spazi orizzontali puliti e sgombri e spolverati tutti i giorni; tu ti siedi e scrivi, con una bella calligrafia rotonda del liceo di una volta; e trovi anche qualcosa da scrivere nella tua esistenza che immagino uguale e tranquilla: riesci a riempire due pagine fitte; invece io non saprei da dove cominciare, non ho tempo per piangere a volte tanto le giornate, le settimane si accavallano, eppure non trovo, in questo caos, qualcosa che valga la pena dirti.
Tu ti ostini a scrivermi, puntuale e cocciuta, con aria di rimprovero, serena e gentile, invii un breve resoconto di qualche acciacco e un rapido riepilogo delle vite degli altri.
E poi trovi il tempo di incollare la busta e recarti da qualche tabaccaio, comprare un francobollo e incollarlo. Cercare con gli occhi sul marciapiede la buca rossa e scommetto che indugi un momento a decidere se la fessura giusta da Bari a Milano sia quella di destra o quella di sinistra.
E mentre tu organizzi questo evento speciale milioni di parole inutili, miliardi di frasi saluti insulti richieste si tramutano in messaggi di posta elettronica istantanea per altrettanti milioni di persone.
Invece tu mi scrivi con un gesto lento e antico come se, faccio fatica a dirlo a pensarlo a capirlo, venti anni ormai, venti anni, non fossero passati da quando si stava insieme nel pensionato universitario, da quando le nostre vite sono diventate diverse e non si sono più incrociate.
Anche questa volta non avrai risposta. Mi sentirò ridicola a elencarti le pagelle, i tornei, i centimetri che crescono sul muro misurati stagione dopo stagione, la riunione di condominio, le rughe nuove che mi leggo nello schermo del computer dell’ufficio.
Avrei da raccontarti altre storie. Ma sono sicura che non vuoi ascoltarle.

posta elettronica

Non so chi sia Franco Arminio
ma questa poesia è talmente...



Outlook di Franco Arminio

1.
venti, venticinque al giorno.
non parlo di sigarette
ma delle volte in cui apro la posta.
aspiro il fumo della comunicazione
ogni volta che è in corso la sospirata ricezione.
all'inizio lo facevo uno, due, tre volte,
ma poi ha preso il largo
la droga del messaggio.
invio, invio
e se non c'è risposta
scrivo e invio,
alla fine parlo
sempre io.

2.
sono qui che giro a vuoto
mentre gli altri restano in attesa.
faccio la lepre della corsa
ma nessuno viene dietro alla mia impresa.
sto giocando la mia gara fino in fondo
pur sapendo che finisce per spaccare il cuore
chi vuole spaccare il mondo.


3.
non scrivi a un altro
ma solo a un ricevente.
non ti agitare
non ti ascolta nessuno.
qui nulla è certo
e ognuno è re
del suo deserto.
alzati, a che serve altro parlare?
il guaio è che anche tacendo
si continua a sproloquiare.

giovedì 26 luglio 2007

manuale d'amore per desolazione metropolitana estiva

Perchè si faccia un film come Manuale d’amore 2 credo sia indiscutibile; perché una persona resti seduta una sera a guardarselo in DVD è stamattina per me oggetto di autoanalisi mortificante. Le cause di un tale degrado possono essere ricondotte a sovraccarico di lavoro mentale in ufficio in vista delle ferie, temperatura elevata in appartamento, silenzio e desolazione quasi agostana per le strade, vista su cantiere che imperterrito continua a cementificare e asfaltare.
Ma ormai il tempo è stato sprecato e bisogna salvare il salvabile. Il salvabile si sostanzia in una ripresa finale dall’alto di una terrazza con panni stesi e oggetti vari molto colorati a formare una serie di strisce perfettamente parallalele ma distribuite sulla terrazza; una delle strisce è un lenzuolo bianco sotto il quale si nasconde e sogna Verdone: bella immagine.
E poi le immagini dell’episodio sul matrimonio gay: campagna luminosissima, bellezza architettonica mozzafiato.
Il salvabile sono Albanese e Rubini e la figlia di Verdone e Dario Bandiera un po’. E la bellezza della ragazza spagnola.
Sceneggiatura bislacca.
Episodio Volo/Bobulova pietoso, quasi un insulto per chi da quelle situazioni ci passa davvero.
Scamarcio slip bianco grezzissimo e Bellucci inconsistente, che pena! Scena di sesso da emozione zero: Big Jim e Barbie avrebbero saputo dare qualche brivido in più.
Fastidiosissimi gli spot pubblicitari.
Patetica l’esposizione di Caos calmo.
Claudio Bisio che diavolo ci faceva? Mah!

venerdì 20 luglio 2007

aspetto il next

A Crichton devo un sacco di sogni e di piaceri mentali e astrazioni e sguardi oltre: per esempio Sfera e, indirettamente, l’amatissimo E.R.
Sicuramente non mi aspetto sofisticate sperimentazioni letterarie. Mi aspetto storielle avvincenti che ti tengano legato a sorbirti una specie di saggio divulgativo.
Superata la metà di Next cominci a chiederti invece quando arriva l’eroe. Non c’è. Non so che cosa sia passato per la mente a Crichton. Ho fatto molta fatica a seguire le microtrame: tutto pazzo, bizzarro, divertente e apparentemente scollegato. Sembrava che qualcuno avesse dato alla Premiata Ditta il compito di allestire una collezione di scenette sulle deviazioni della ricerca genetica e i suoi paradossali impatti etico/giuridici sulla vita delle persone. Più carinamente qualcuno invece dice che si tratta di una sceneggiatura altmaniana.
Non male il pappagallo parlante Gerard al quale va il mio premio di miglior personaggio; troppo superficiale e inverosimile la scimmietta-bambino Dave; irrisolta l’apparizione dello scimmione che bestemmia in tutte le lingue; scopiazzata e esagerata la fuga con fucile della mamma Burnett con bambino per sfuggire al prelievo di cellule; incasinatissimo tutto il resto.
Però non mollo. Un po’ Piero Angela, un po’ Spielberg, un po’ Dan Brown, caro Crichton... aspetto il prossimo.

lunedì 16 luglio 2007

Essere Daisy Miller

La prefazione di Italo Calvino introduce contrapposizioni Europa/America, considerazioni su male e paura di vivere, fobie di classe e perfino suggestioni spirituali di protestantesimo e paganesimo. Insomma un perfetto schema su cui legioni di liceali possono far fiorire tesine interdisciplinari.
Io invece arrivo a Daisy Miller di Henry James passando per Teheran e le lezioni di Azar Nafisi e la mia attenzione si ferma su Daisy e sulla sua semplice e diretta richiesta di essere se stessa. Senza ruolo.
Guardare dritto in faccia senza mossette strategiche. Decidere senza ossequi a formalismi paludosi.
E’ facile essere dalla sua parte sulla carta. Quando in gioco sono le ridicole richieste di presunta buona reputazione vittoriana.
Più difficile provare ad essere Daisy sul serio.
Prendiamo per esempio essere una donna, entrare ogni giorno in un ambiente di lavoro, avere una famiglia: quante mezze calzette di Winterbourne hanno bisogno di trovarti etichette per poterti ridimensionare?
Quante Mrs. Walker hanno sempre la regola giusta da indicarti, dietro solide ipocrisie così comode? Comode anche per Daisy, diamine. Non è molto meglio essere rispettabile? Perché ostinarsi come Daisy a provare la passeggiata notturna fra le rovine del Colosseo, perché ostinarsi a farsi vedere in giro in compagnia di Giovanelli, quando sai che non te ne importa nulla?
Al solo scopo di indisporre la Mrs. Walker di turno è evidente. E non darla vinta a Winterbourne, che diciamocelo, è proprio un vigliacco.