venerdì 28 dicembre 2007

covacich, Fiona

Pieno di idee. Zeppo di ritagli perfetti sul nostro vivere per immagini. Geniale nella rappresentazione dissociata del protagonista, al quale non riusciamo a dare una identità precisa: come convivono il ricco autore di un successo che si alimenta del peggio televisivo di questi ultimi anni, il marito fraterno dell’intellettuale di sinistra, il padre adottivo che passeggia per i vialetti perfettini di Milano2, il maniaco degli esplosivi, il pazzo bombarolo dei supermercati...?
Il romanzo si dipana per angosce interiori e si risolve precipitosamente; si poteva approfondire qualche aspetto? La lettrice lenta avrebbe voluto più gradualità e più sviluppi narrativi (lo schifo del reality, il personaggio di Maura...), ma forse un rappresentazione del nostro quotidiano è ormai verosimile solo se accelerata, accennata, non spiegata, flashata.

lunedì 24 dicembre 2007

avoledo, Tre sono le cose misteriose

Un nobile intento di fondo (d’altra parte stiamo condannando il Mostro, un capo di stato portato sui banchi di un tribunale internazionale per genocidio e efferatezze varie); una scrittura asciutta e capace di suspense (anche quando la suspense alla fine non si scioglie); idea narrativa interessante per cui la storia e la politica sono raccontati ed evocati e insomma sono lo sfondo sfocato, mentre in primo piano ci sono i rapporti familiari, il bambino soprattutto, le paure, gli incubi, i ricordi personali, i dolori e gli orrori nascosti dentro le immagini intime del passato; una eco mcewaniana, secondo me, molto evidente, soprattutto nello svolgersi lentissimo e preciso nei dettagli di alcuni momenti: la visita all’ipermercato, la gita sul lago, la notte passata sul videogioco.
Allora che cosa non mi è piaciuto? Forse che tutto è pervaso da una forte affascinazione nei confronti della materia trattata, questo maneggio di “cose da uomini”: computer, giochi di guerra, fatti di guerra tramandati da padre a figlio, da suocero a genero, robe da eroi solitari...
Una donna è una moglie lontana, amatissima per carità come no, ma chissà perché incapace di comprendere che suo marito sta facendo la storia e capricciosamente va a passare le sue serate solitarie da un gay un po’ macchiettistico; un’altra donna sarebbe in realtà una guardia del corpo e quindi accolta nel meraviglioso universo dei maschi duri e puri che disinfettano il mondo dagli orrori ma, guarda caso, appena resta sola con l’eroe, gli si offre fisicamente; la terza donna è una domestica a metà strada tra una invasata e una imbecille.
Ecco, più che approfondimento psicologico dei personaggi, mi sembra che qui ci sia l’approfondimento di un solo personaggio, con una decina di figurine che gli girano intorno fatte a sua misura, incapaci insomma di costituire un vero contraddittorio.

venerdì 21 dicembre 2007

Irene, Natale, la pace...

Temo che Irene non abbia pace.
Temo seriamente che Irene non riesca a scivolare via e sia rimasta sospesa in una strana via di mezzo e che, senza quei vincoli di spazio che rendono le cose così difficili a noi viventi, Irene stia vagando fra le città e i cuori; e stia abitando le angosce di quelli che la pensano adesso o l’hanno pensata in questi giorni. Temo che sia un po’ ovunque, soprattutto non è sul tavolo dell’obitorio dove l’hanno posata.
Questa notte.
Nella, a mille chilometri di distanza, si è svegliata. E’ andata in bagno a sciacquare la faccia però si sente intontita; sarà colpa dell’antibiotico, l’ennesima pastiglia, quella del cuore accanto a quella della tiroide accanto a quella della circolazione accanto... Appunto, la pastiglia. Va in cucina e accende la luce ché d’inverno è ancora buio la mattina presto: quella della tiroide, appunto. Ma fa freddo e allora, a passo rannicchiato di troppi anni, se ne torna in camera a infilarsi calze e vestiti e l’orologio adesso lo vede e fa l’una e cinquanta. L’una e cinquanta... vuol dire che si è svegliata all’una e trenta circa e si è alzata credendo che fosse già mattina e che cosa l’ha svegliata come fosse giorno, all’una e trenta di una notte di quasi Natale?
All’una e trenta Irene ha smesso di vivere e Michela, a duecento chilometri di distanza, ha sognato suo figlio nella bara e gli uomini in divisa che volevano inchiodarla, come nel film di Nanni Moretti, e lei ha urlato e si è attaccata alle spalle fredde del corpo magro di quindicenne, che nel sogno terribile era morto, e ha urlato, e si è svegliata e faceva freddo ed era l’una e mezza, proprio nel momento in cui Irene si è arresa, hanno detto a Michela il mattino dopo.
L’aveva scritto già qualcuno in qualche storia: la Tamaro aveva immaginato uno schianto nell’armadio di notte all’improvviso nella stanza della protagonista di Va’ dove ti porta il cuore, mentre il suo vero amore moriva altrove. Anche Coe ci aveva giocato, immaginando il presagio di morte a migliaia di chilometri di distanza, mentre moriva Imogen, ne La pioggia prima che cada.
Chi ci crede a queste cose, dai...
Chi ci crede che Irene non ha pace, questo Natale.

lunedì 17 dicembre 2007

La manutenzione degli affetti di Antonio Pascale

Ha un titolo bellissimo questa raccolta di racconti; davvero varrebbe la pena leggerla solo per questo.
Racconti piccoli di piccoli tentativi di esistere.
Il vuoto spaventoso della controra.
Il risucchio dentro il grasso che imprigiona un corpo da ragazzino.
La bellezza orribile del racconto del morto.
La sconfitta dei sogni di ricchezza.
...
Poi alla fine il regalo di una delle migliori descrizioni di una grossa fetta della mia vita che mai mi sia capitato di leggere, perché quel racconto sui due terroni ministeriali è veramente perfetto, ma chi non sa non può capire... credo.

Andrea Ki-duk

Siamo tutti case vuote e aspettiamo qualcuno che rompa la serratura e ci renda liberi.
Questo pare l’abbia detto Kim Ki-duk, che è un regista e che ha fatto un film strano e bellissimo che si chiama Ferro3.
Film visto da tempo e ne ricordo ancora scene, suggestioni e silenzi. Chissà se è l’indizio giusto per giudicare un buon film il fatto di ricordarlo così vivo dopo tempo. O il fatto che questa frase sia scritta sulla mia costa d’armadio in ufficio, affianco al calendario, ai disegni dei bambini e alla frase d’effetto di Ugo Foscolo.
E sarà perchè la frase comunque è lì quando mi alzo, quando mi giro verso il cestino e, anche se non la leggo, sfreccia veloce per microsecondi sotto lo sguardo, sarà per questo che ho pensato alle porte e alle serrature, quando Andrea è piombato rumoroso e massiccio nel nostro ufficio, ha stretto mani, si è sparapanzato su sedie, ha ascoltato discorsi di benvenuto, ha spettegolato quanto basta e si è sorbito le prime spiegazioni di questo lavoro/non lavoro, di questa finta rispettabilità cartacea.
Andrea mi è piaciuto d’istinto, un ragazzone di oltre un quintale, incapace di stare fermo, incapace di stare zitto per più di un minuto di fila; capace al contrario di guardarti negli occhi e esporsi.
Dentro gli occhi ho visto una serratura aperta; speriamo non ritrovi la chiave nelle prossime paludose giornate.
L’aria libera che circolava fra le sue finestre si è infiltrata sotto le mie ben chiuse e anche a sera a casa, mi sentivo diversa e non capivo, finché, risvegliandomi il mattino dopo, in quella fascia di consapevolezza magica che è l’alba di una nuova giornata in un letto sfatto e caldo, non ho visualizzato insieme la frase di Ki-duk e Andrea... e ho capito.

giovedì 13 dicembre 2007

bambine dalla ancora parte delle...

Alle sette di sera è il momento peggiore ché il pantano triste dell’ufficio ti sta ancora tutto attaccato sulla schiena e la porta di casa aprendosi ti sbatte addosso odore di chiuso, di letti rifatti di corsa al mattino, di zaini scolastici rotolati dal cortile della scuola direttamente sul divano, di cucina illuminata sul tavolo sporco di avanzi di un pasto indegno con il quale hai creduto di lavarti la coscienza lasciandolo pronto a rinsecchirsi sin dalle otto in attesa del loro ritorno da scuola. E proprio ora lei ti mette sotto il naso una nota da firmare umiliante: “Paola è venuta a scuola con pantaloni che lasciano scoperta la pancia e il sedere... “
Prima di terminare la lettura un senso di sconfitta storica mi travolge, di fronte alla grazia innata di mia figlia, la sua femminilità a me da sempre ignota, i capelli identici ad Avril Lavigne (o forse a qualunque altra starletta). Occhi truccati, diosanto, non ha ancora tredici anni. Tutto ho sbagliato: io sconfitta da quella poltroncina che eleva fino al soffitto i panni in attesa di stirature in ore piccole, io sconfitta da una pseudodonnina che sputtana le mie scarpe basse e la mia rabbia, sventolando allo scoperto il solco del sedere, perché lo ordina MTV.
La risposta immediata è una elaborazione mentale in tutta fretta di due righe sul diario che salvino la mia dignità, ecco qualcosa tipo: ... gentile professoressa, lei mi trova perfettamente alleata, le nostre figlie sono vittime omologate di un impianto di valori consumistici che offende la fatica con la quale la nostra generazione tenta di essere persona prima di tutto e non semplicemente un organo genitale dotato di braccia e gambe...
Ma c’è una ultima frase in fondo alla nota: “... si chiede alla madre più collaborazione e controllo .” Lo so, lo so, forse è scritta a fin di bene: ma quella frasetta che sposta su di me colpe e omissioni mi ribalta la prospettiva. Firmo e basta. Nessun rimprovero. Nessuna barricata fra quarantenni e tredicenni. Continuerò ad esserci per quello che sono Paola e fare la madre; tu fai la figlia e non sai quanto ci serve vederci ogni giorno così diverse e uguali allo stesso momento.

lunedì 10 dicembre 2007

lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

ogni tanto bisogna andare a leggersi i libri di narrativa che le insegnanti di lettere fanno leggere a scuola media ai tuoi figli; bisogna davvero, ogni tanto; e rubarsi il libro con il figlio durante la domenica; e rimbrottarsi dicendo "non dirmi niente che lì non sono ancora arrivata"; bisogna leggerli questi libri; questo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte bisogna davvero...