martedì 30 settembre 2008

politically correct

Non mi sono spiegato, dice spesso il mio capo. Lo dice con un tono di voce inequivocabile.
Qualcuno gli ha detto che per educazione non si dice “non hai capito”.
Ma il disprezzo che trasuda dalla postura, il fatto che lo dica interrompendo l’altro, l’arroganza dell’insieme rendono la scelta dei vocaboli una ridicola ipocrisia.
Eppure la spiegazione non è quasi mai che lui non si è spiegato o che l’altro non ha capito: la spiegazione è quasi sempre che lui sta dicendo delle scemenze e qualcuno sopra di lui gli ha dato licenza di dirlo...
Così ci tocca subire i suoi “non mi sono spiegato”, lasciandogli pure l’autocompiacimento di essere una persona beneducata.

venerdì 26 settembre 2008

videoconferenza

Mi sto guardando nello schermo di una videoconferenza.
La videoconferenza è una invenzione moderna e serve a fare le riunioni a distanza.
Nella saletta ci sono due grossi schermi: in quello di sinistra vediamo noi stessi, quello di destra è diviso in 4 riquadri, uno per ognuna delle sale collegate.
La consulente autoconvinta che ha organizzato la riunione ha chiesto un giro di presentazioni che sono state veloci e confuse.
Non solo io non ricordo nemmeno un nome, ma non riesco neanche a collegare le immagini alle città da cui arrivano. Le persone negli schermi sono piccole e scarsamente definite. Distinguo gli uomini dalle donne solo per una maggiore fantasia nell’abbigliamento femminile. Le bocche non si vedono e si intuisce chi parla dalla postura della schiena che si allunga verso il tavolo.
Passo il tempo a guardare me stessa nello schermo di sinistra dove l’immagine è più grande e mi è molto vicina.
Così noto che sono diversa dagli altri. Loro sono capaci di stare immobili e diritti e guardare fisso e non fare rumore.
Invece mi vedo oscillare il busto di continuo e muovere le mani verso il viso, sbattere le palpebre, grattare la punta del naso, sostenere la guancia con il palmo, strofinare l’arcata del padiglione auricolare, picchiettare il mento, carezzare con il bordo dell’unghia l’arcata sopraccigliare.
Non mi piaccio, sembro nervosa, scontenta, sul punto di fuggire, annoiata.
Tremendamente annoiata.
Tremendamente annoiata.

giovedì 25 settembre 2008

lucchetti di famiglia

Legando la bici rossa al palo davanti all’ufficio le dita sono inciampate come sempre sulla catena inguainata bloccata intorno al manubrio da quando la bici era usata da mia figlia.

Sono già due o tre le catene legate e dimenticate sulle bici di casa, per le quali si è persa la chiave.
Credo però che le chiavi non siano andate veramente perdute, di sicuro riposano nei cassettini dell’ingresso, oppure fra carte, biglietti e rimasugli di giochi elettronici negli scaffali dei ragazzi, o nelle scatole da scarpe svuotatasche impilate su ogni piano orizzontale del piccolo studio/deposito/stanzette di servizio cioè la pseudosoffitta di casa nostra.
Magari quella chiave è stata a suo tempo conservata con cura, dopo un meditato esame di angoli e ripiani e scatoline, alla ricerca del luogo più adatto, in un gesto che esprimesse insieme affetto e possesso per le cose di casa.

Nessuno ha voglia di cercare,catalogare, accoppiare le chiavi alle catene e consentire la liberazione delle bici dai lacci di ferro e gomma che sbatacchiandoci sopra ne arrugginiscono la struttura.
E lasciamo che si stratifichino oggetti, vecchi gesti, ricordi, simboli, come se cominciassimo davvero a condividere una storia lunga ormai qualche lustro, una storia che comincia a valere la pena di ricordi e racconti e di una casa mezzo museo.

mercoledì 24 settembre 2008

Morte di un diciottenne perplesso

di Marco Bosonetto: una boccata di aria fresca!

lunedì 15 settembre 2008

L' atlante delle nuvole

David Mitchell presumo sia una specie di pazzo.
O invece un grandissimo genio.
L’atlante delle nuvole ha una struttura bizzarra nella quale fai fatica a districarti: ha incastonato una storia dentro l’altra, lasciandole in sospeso e riprendendole in ordine inverso e seminando qua e là riferimenti fra una storia e l’altra.
Ma non è così semplice. Intanto le storie sono diversissime per ambientazione e stile: il romanzo epistolare, la spy story, l’interrogatorio, il flusso di coscienza.
Poi ogni storia si dipana in se stessa in maniera profondissima, si ha la sensazione di precipitare in un pozzo che va allargandosi di significati e rimandi sociologici, politici, filosofici, antropologici, scientifici...
Sono storie che si svolgono a dimensioni lontanissime nel tempo e nello spazio, eppure ne trai una visione di insieme. Ecco, più che una struttura a matrioska, l’idea forte è invece quella degli universi paralleli, o del tempo come concetto relativo, di fronte, invece alla simultaneità di tutta la storia, in un unico puntino.
Estenuante e affascinante.

venerdì 5 settembre 2008

tutto quello che fa male ti fa bene

Brillante, a tratti divertente.
Un saggio che si legge volentieri: contenuti interessanti e prosa fluida.
Tante idee intelligenti, tanti spunti sui quali aprire una discussione (per esempio difendere la qualità e gli stimoli all’intelligenza che può fornire la TV grazie alla complessità dei telefilm americani quali 24 o E.R.: eh grazie tanto, hai preso il meglio...)

Ci sono cose con le quali è impossibile non trovarsi d’accordo. E cmq una speciale menzione al coraggio di esprimere lucidamente idee contro la facile corrente.

giovedì 4 settembre 2008

Tutto per una ragazza

Un bel giorno, a proposito di Hornby, potresti decidere che quell’aria scanzonata ti comincia a stare profondamente sulle scatole; all'inizio ti può sembrare l’amicone della compagnia che ha sempre la battuta pronta, che riesce a sdrammatizzare ogni situazione, che è insostituibile e necessario per ravvivare la serata, ma il giorno che ti succede qualcosa di brutto comincia un po’ a stufarti, fino a quando quell’ironia onnipresente non ti diventa insopportabile.
Insomma uno potrebbe anche chiedersi che cosa cavolo ci trovi Hornby di così leggiadro e divertente nelle difficoltà delle ragazze madri, nelle famiglie sfasciate, nei depressi che vogliono suicidarsi, nelle 40enni in crisi di identità; ti potresti chiedere come fa a rendere buffa commedia il disagio sociale.
Ecco. Proprio questa è la risposta, forse. Come fa a rendere commedia il disagio sociale? Semplicemente, forse, con la sua intelligenza.
Così pensavo, mentre leggevo d’un fiato le disgraziate vicende di un sedicenne un po’ svampito che si ritrova padre senza neanche sapere come, che sarebbe fantastico avere Hornby come biografo.
Diamine, sarebbe utilissimo mettergli in mano la propria sgangheratezza esistenziale e vedere che cosa potrebbe tirarne fuori. Come riuscirebbe a farmi ridere, commuovere e compatire me stessa. E, naturalmente, aiutarmi a vivere.

lunedì 1 settembre 2008

La fabbrica delle donne di goffredo buccini

Sono stupita del fatto che questo romanzo abbia avuto meno risonanza di altri polpettoni che girano.
Secondo me è scritto molto bene ed è una storia forte e importante.
Sembra quasi una favola e diventa una tragedia a tinte fosche.
Sembra quasi la solita rappresentazione folcloristica e paesana e diventa invece una storia di mancata integrazione e dialoghi fra mondi.
Ci sono passaggi di grande poesia.
Ci sono personaggi ben delineati.
Ci sono considerazioni che sembrano battute lievi e invece lasciano un sapore amaro e profondo.

forse sono ennis

Ho visto Brokeback Mountain.
Tutta una vita a desiderarne un’altra.
E’ questa la storia.
E ha ragione quella recensione che dice che è una storia shakespeariana.
E’ il racconto magnifico di un pezzo di ciascuno di noi.