giovedì 28 giugno 2007

formiche guerriere

Un procedere di formichine, dapprima solitarie, poi in gruppetti sempre più folti e determinati. In poche ore costituiscono un esercito.
Partono da un punto, un punto molto preciso sulla nuca e fanno il giro passando in alto, ben lontane dalle orecchie. Arrivate alla tempia si separano e diventano pian piano più crudeli; le prime si avventurano in profondità, raggiungono la mascella e si fissano su un solo dente, dietro un inconsapevole molare, martoriandolo; le seconde cominciano a mordicchiare la pelle del volto, là dove lo zigomo si allarga verso l’occhio, e proprio dietro l’occhio si trovano all’improvviso le più temerarie e non capisci che strada avranno fatto per ritrovarsi dietro l’orbita così tante, così tante da rendere pesante la testa e ogni suo piccolo movimento dispendioso, troppo dispendioso di energie.
Poi comincia la lieve nausea e una specie di disgusto verso il dolce e il salato e il caldo e il freddo.
Le palpebre stanno meglio abbassate, l’occhio sinistro ha una sottile panna incolore che attutisce la luce.
I rumori intorno rimbalzano su casse di risonanza misteriose.
Lo stomaco piange.
Le formiche adesso si sono messe a danzare una danza violenta proprio sulla sommità della testa. Picchiano con i martelli. Li hanno costruiti con gli spilli arrugginiti.
Pietà, farò tutto quello che volete, smettete, ogni piccolo spillo mi provoca un brivido strano.
Formiche guerriere del mal di testa.

domenica 24 giugno 2007

il disegno finito

Tu sei, nel risveglio,
il fluire immediato
di sangue e luce,
il colore del sogno appena interrotto,
ma sfugge.
Così cerco di dimenticarmi
di quella consuetudine appagante
che sembrava così normale
questa notte.

Tu sei l’arrivo
oltre il quale non cerco motivi.
La placidità della fine della corsa,
quel sentore schiacciante e dolciastro
che blocca il respiro e significa
che hai vinto.

Tu sei un esame passato;
il libro sfatto di angoli rotti.
Tu sei il disegno finito,
che non serve più sporcare di pastello
replicando linee di colore imperfetto.
Sei già tutte le ombre che ci vogliono
e tutte le sfumature.

Tu sei quell’esatto momento
di pomeriggio compiuto
in cui la pelle è sporca di sale;
sole basso, rosso e rotondo
e rumore di mare allungato.

Tu sei il silenzio della controra
lussuriosa;
l’orologio bloccato nel momento perfetto.
La stazione dove si vorrebbe scendere.
Il viaggiatore tranquillo
che voltando la schiena
esce, con una borsa piccola
e passi tranquilli, dalla stazione.
E dal finestrino lercio
lo guardo che va nel sole
e non ne sento più i passi
mentre il mio treno imbocca l’ultima galleria.

venerdì 15 giugno 2007

Leggere Leggere Lolita a Teheran a Milano

Questo mi spiazza: che i simboli di femminilità da me mai desiderati, quasi disprezzati come segno di inutile vanità e esposizione degradante di se stesse, qui invece mi appaiano come simbolo positivo.
Per me sono liberi e a portata di mano; anzi sono parte integrante di quella che mi appare la follia collettiva delle donne di farsi bambolotte per vendere: rifiutarli è il vero gesto di libertà.
In questo racconto doloroso mi accorgo che anche un colore più vivace di un calzino diventa reato.
Allora lo smalto che io non metto, il rossetto che non uso sono da difendere, da invocare? Sono davvero il simbolo della mia possibilità di decidere di me stessa?
Libertà di smalto e libertà di lettura.
Perché, ho chiesto, secondo te, se la sono presa così tanto con le donne?
Perché una donna giovane è desiderabile e ha un potere forte di cui hanno paura e che vogliono neutralizzare, uno mi ha risposto.
Un altro invece ha detto che non c’è un vero motivo, che tutte le rivoluzioni nascono da uno spunto sacrosanto; poi finisce che, dopo la prima fase, il potere vero resta in mano ai peggiori, e questi, senza neanche sapere veramente perché, prendono una frase, un dogma qualunque e ne fanno legge sacra, per il puro gusto di esercitare controllo e fare del terrore.
Non lo so chi ha ragione.
Ho solo paura che questo o qualcosa di simile possa accadere in ogni momento, anche qui.
E ho deciso di comprare più libri.
E mettermi il rossetto.



qui
recensione di Citati

giovedì 7 giugno 2007

Alice Munro e me

Quando ti invaghisci di una scrittura e del suo autore dovresti affrettarti a consigliarlo in giro. Perché questo non mi accade con Alice Munro? Il sentimento più forte quando la leggo invece è il senso di privilegio tutto mio per avere fra le mani quel libro in quel momento, quello e non l’ultimo giallo ammiccante; e poi il piacere di una conversazione privata fra donne. Non una conversazione fra donne che si lamentano delle solite cose, invocando una sorellanza. La voluttà che mi regala Alice Munro ha a che fare con l’idea di nascondersi sotto le coperte con mia sorella e raccontarsi delle cose nostre, quelle vere, quelle che noi stesse non avevamo capito troppo bene se non nel momento in cui abbiamo provato a nominarle o che avevamo capito troppo bene e avevamo paura a dirlo forte. Poi ci stiamo raccontando fatti e casi di altre e stiamo dando un’altra versione, spiazzante, un po’ perversa, stiamo mischiando le carte, stiamo riallacciando segreti del passato e normalità finta del presente. E mentre facciamo tutto questo contano il colore di un vestito, un episodio buffo ma quotidiano, una nuova pettinatura, un lavoro di casa. E le persone di cui parliamo non hanno nulla di speciale, hanno tratti del viso banali, corporature naturalmente brutte, esistenze vicine e scialbe. Ma mentre parliamo le arricchiamo di sensi oscuri, e arricchiamo di senso il nostro appartamento spoglio di ragazzine qualunque, abbiamo negli occhi il lampo di un gesto ribelle che sparigli la partita, abbiamo il coraggio di provare a guardare nel pozzo dei sentimenti cattivi, degli altri e nostri.
Ecco, forse, è talmente grande la capacità di questa lettura di passarmi sotto la pelle che ho quasi paura a consigliarla in giro, quasi per il pudore di non voler pubblicizzare un pezzo della mia verità personale, invece che un libro.