venerdì 29 ottobre 2010

il coro serale degli adulti

Loro hanno volti garbati,
qualcuna sciarpetta di seta,
montature brillanti,
odore di crema fresca
pro-age.
Hanno la fretta di chi ha il giorno svuotato,
bambine felici di essere ascoltate.
Quasi saltellano.
Piace dire dove sono nate,
non quando.
Piace dire credevo di non essere capace,
per sentire la carezza di “non è vero”.
Piace dire lo dice mio figlio,
piace dire ho un figlio.
Sulla soglia per poco
ho tempo forse di restare fuori:
la mia sciarpa ha un colore giovanile
e la porto annodata!
Ma la stanchezza mia è la prima
a posare sulla sedia di plastica grigia.
La maestra ha il tono dell’asilo,
poi ci fa respirare.
M’esce un sorriso Deniro alla fumeria d’oppio.

mercoledì 27 ottobre 2010

Tutta un'altra musica, Nick Hornby

Fa così lui: sceglie dei temi contemporanei e occidentali, temi sui quali altri autori costruirebbero delle spesse storie introspettive, temi che ci prendono e sui quali magari avremo già speso preoccupazioni, a volte perfino lacrime. Poi ci fa sopra una commedia, leggera ma mica tanto, con qualche affondo sociologico ma sempre sul filo del sorriso e del non prendiamoci troppo sul serio. Il risultato, soprattutto all’inizio, è divertente, molto divertente.
La leggerezza si accompagna comunque all’intelligenza.
Il finale della storia sembra proprio non esserci, perché di fatto il dramma a un certo punto sembra annacquarsi fino a scomparire. Semplicemente da un quadro iniziale si passa a un quadro finale, con le tesserine del puzzle ricompattate in un modo diverso, ma compatte ancora.
E’ bravo. Si legge bene. Si passano delle ore piacevoli con il libro in mano.
Però a lungo andare resta in bocca un sapore di artificioso, di confezione.

mercoledì 20 ottobre 2010

assenza

...nell'assenza mi trasformo in creatura di passione, giacché la mia anima è passionale, e l'Assenza è il paese dell'Anima...

Marina Cvetaeva

martedì 12 ottobre 2010

Prospettiva Lenin, Anton Antonov (?)

Potrebbe essere una storia di spionaggio, ma manca di azione.
Potrebbe essere un romanzo di formazione, ma manca di profondità psicologica.
Potrebbe essere un libro di storia, ma è troppo affrettato.
Potrebbe essere un atto d’amore verso la Russia e, sì, un po’ ci riesce a comunicare rispetto e anche un pochino di pathos (soprattutto quando il giovane studente visita San Pietroburgo, o quando la spia in disarmo vive affianco ai derelitti del triste condominio moscovita).
Potrebbe essere una tesi politica ma è molto, molto ambigua e non se ne viene facilmente a capo.
Non è un gran libro se visto come opera letteraria, però è interessante e scorrevole.
Tutto sommato vale la pena delle poche ore di lettura che chiede.

lunedì 11 ottobre 2010

L'ubicazione del bene, Giorgio Falco

Rispetto a Pausa caffè Falco sembra aver lavorato ulteriormente sullo stile, ottenendo, secondo me, un equilibrio migliore fra racconto, scarnificazione della frase e straniamento del contenuto: il risultato è superbo, gli echi del minimalismo e del postmodernismo sono molto presenti, ma Falco li fa propri in un libro di integrità formale e profondità di sostanza superiori alla media.
Gli ingredienti delle storie del sobborgo neobenestante (fragilmente benestante) di Cortesforza sono quotidianità organizzata fino al surreale, miti di plastica, vuoti riempiti di nulla, burocratese commerciale ripetuto come una buffa litania a ottenere un effetto di svuotamento di senso e atona disperazione.
Cortesforza è un paesaggio spirituale talmente diffuso che si fa quasi fatica a leggere per la vergogna di riconoscersi in molti stupidi miti, in quella liturgia di beni, di cose, di case, di passaggi obbligati, di oggetti che si è impadronita delle nostre vite, noi stessi consapevoli e in corsa per raggiungere questo stato di incolore desolazione, questa privazione di passioni che è spesso la vita di noi figli del benessere occidentale, diventati grandi con il marketing.

giovedì 7 ottobre 2010

Chi ha ucciso Sarah... a Chi l'ha visto

Lo scoop televisivo/giornalistico del decennio: essere collegati in diretta con la casa dell'assassino e giocare con il detto e il non detto inquadrando un gigantesco primo piano di una donna alla quale dire: "Loredana ti ha lasciato", pardon, tua figlia è stata ammazzata da tuo cognato, il proprietario del tinello marron nel quale stiamo facendo le riprese.
Neanche il peggior Grande Fratello o il più squallido collegamento con l'Isola, poteva sognarselo.
E con chi prendersela? Mica con la Sciarelli, professionale, glaciale, bravissima a tenere la diretta. Forse con gli autori? Forse con la "Televisione" in quanto tale? O con me stessa che, capitataci con lo zapping, sono rimasta impietrita a guardare, guardare, guardare, incapace di staccarmene e di spegnere il televisore per sempre.

martedì 5 ottobre 2010

La battuta perfetta, Carlo D'Amicis

A partire dal 1960 la storia della televisione italiana e la storia delle persone, degli italiani, sono diventate la stessa cosa? Di libri che provano a raccontarci eventi degli ultimi cinque decenni utilizzando, anche abbondantemente, l’evoluzione dei programmi televisivi ce ne sono tante. L’unicità e la genialità di questo La battuta perfetta di Carlo D’Amicis sta nel fatto che qui le due cose sono talmente compenetrate da risultare indistinguibili, ché Canio e suo padre, i protagonisti di questo strano romanzo di formazione, non solo sono persone che lavorano nella televisione (la vecchia Rai bigotta o la Fininvest smutandata che sia) ma “sono la televisione” e nel contempo sono gli italiani, educati forse, poi sedotti, trasformati, ammutoliti e svuotati dalla televisione.
E non è un romanzo leggero, nonostante le barzellette qua e là, nonostante la snellezza del racconto, l’allegria della famiglia di origine di Canio, la carrellata di amati programmi e personaggi, qualche gossip, la cocaina e il sesso facile merce di scambio che sbarluccicano nella seconda parte del racconto.
I due protagonisti, di pagina in pagina, sono sempre più sgradevoli e perdenti ma insieme sempre più rappresentativi di ciò che noi siamo e del nostro muto aderire alla chiamata catodica.
Di D’Amicis ritrovo ancora una volta questo ritmo narrativo piacevole, questo respiro ampio, questa capacità di fare epica dalle cose volgari, perché un narratore più ruffiano e modesto avrebbe elencato vip e programmi leggendari, titillando il solito fattore nostalgia. Invece D’Amicis sembra comporre un amaro libro di storia, la nostra personale per l’appunto.