martedì 27 maggio 2008

la solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano

La cosa che mi frulla nella testa prima di qualunque altra considerazione è che questo romanzo lo ha scritto un fisico teorico di 25 anni.
Ciò mi ispira immediatamente tante suggestioni positive sul connubio tra fisica e letteratura, ma potrebbe anche significare che costui è semplicemente un ragazzo di grande intelligenza e ordine mentale che ha seguito un bel corso di scrittura e si è limitato, con la sua abitudine mentale allo studio e all’applicazione dei principi studiati, a eseguire molto per bene il compito.
Dato che si tratta di un’opera prima molto osannata ho cercato le stroncature e ho trovato soprattutto critiche alla mancata spontaneità: si tratterebbe cioè di un romanzo studiato con intelligenza nella struttura, nei clichè dei personaggi e nello stile.
Il fascino di questo libro è però semplicissimo: parla di bambini e adolescenti attraverso la sofferenza del sentirsi diverso. Ogni volta che qualcuno racconta un dolore adolescenziale in maniera diretta ottiene l’effetto di parlare a un vissuto irrisolto del lettore: è, per l’appunto, matematico.
Ma che male c’è?
Condivido la critica della mancanza di chiaroscuro nei personaggi collaterali (genitori stupidi, bullette stronzette, marito piattissimo); questo vale anche per Mattia e Alice, autocondannati a un universo talmente autoreferenziale da sfociare nel patologico: voglio dire che qualche situazione diventa un po’ irrealistica e paradossale.
Ma insistere sulle imperfezioni non mi piace, preferisco dire che questo libro mi è piaciuto, che ha dato vita, mentre lo leggevo, a un universo che ha abitato le mie ore e i miei pensieri e a personaggi con i quali mi sono confrontata: non è già una specie di miracolo?
E condivido questa frase:
“... è narrata con una partecipazione emotiva che solo chi è ancora vicino all'adolescenza può manifestare, e attingendo a un bacino metaforico che solo chi ha un background scientifico può possedere...” non a caso pronunciata da Odifreddi.
Uno dei pregi di questo romanzo è la freschezza e cioè che si tratta di una storia di formazione scritta da un ragazzo e i suoi personaggi-ragazzi all’ultima pagina sono ancora dei ragazzi.
Alice e Mattia non diventano adulti all’ultima pagina; ché diventare adulti significa avere la forza e l’amarezza di scendere a compromessi anche con le proprie inferiorità e con i propri fantasmi. C’è un momento in cui anche certi drammi adolescenziali diventano un lusso che non ci si può più permettere, anche gli errori dei genitori smettono di essere la scusa buona per sottrarsi alla responsabilità del vivere, anche vendicarsi della bulletta di scuola cattiva diventa inutile e senza soddisfazione.
La solitudine dei numeri primi si ferma prima e sono ben contenta: avrò da leggere Paolo Giordano nei prossimi anni.

lunedì 26 maggio 2008

giorni e nuvole

E come può una donna non apprezzare i film di Soldini che sembrano scritti apposta per celebrare intelligenza e cuore, fatica e leggerezza, fantasia e solidità femminili?
Ed ecco un’altro bel personaggio femminile che senza il minimo dubbio prende sulle spalle il fardello di un disastro economico familiare e passa dalla bambagia di moglie nullafacente con colf e sogni di gloria artistica alla fatica nera del lavoro brutto, del lavoro senza contenuto, solo stanchezza, tempo sottratto e miseria di stipendio a fine mese.
Applausi quindi. E un po’ di retrogusto amaro. Che questa nostra celebrata forza, questa capacità di comprendere fragilità e depressioni maschili, questa nostra flessibilità e capacità di adattamento all’ombra del maschio deprivato del suo ruolo produttivo, questa nostra sensibilità a cogliere l’intero respiro di un grande affresco celato dietro un piccolo particolare comincino ad essere date per scontate?
Basta sconti al mondo, basta.

P.S.: Mamma mia Antonio Albanese! Con quella sua faccia e quel suo fisico così particolari ti aspetteresti una maschera fissa, ti aspetteresti che Cetto Laqualunque e tutti gli altri gli impediscano di fare un ruolo diverso, ti aspetteresti che il personaggio televisivo riproponga se stesso sul grande schermo.
Invece no. E’ veramente veramente veramente bravissimo.

saturno contro

Ci sono delle scene “belle” nel film Saturno Contro; con belle intendo proprio riferirmi all’aspetto estetico, penso cioè alla luce e ai colori, ai movimenti della macchina e alla composizione quasi di danza che i tanti protagonisti fanno sulla scena al ritmo di una colonna sonora molto accattivante; penso ai dialoghi spessi, sempre significativi, una collezione di aforismi; penso alla lussuosa location, al magnifico appartamento e alla bella villa a picco sul mare.
Poi... più niente. Allora cerco qualche recensione in rete... valore dell’amicizia, tema della separazione, dolore per la morte dell’amato... Ma mi sembrano recensioni che si arrampicano sugli specchi in cerca di profondità esistenziali inesistenti. La strana sensazione è che il magnifico regista de Le fate Ignoranti e La Finestra di Fronte non avesse proprio niente da dire e si sia limitato a costruire una sontuosa cornice almodovariana a sue vicende estremamente personali ma anche estremamente normali: banali storie di coppie e corna, stereotipatissimi bambini, cenette a parlar di cazzate, un po’ di sesso molto molto glamour (con una Isabella Ferrari dea della bellezza e dell’eros sofisticato e un Luca del GF in mutanda immacolata stile pubblicità D&G)..
Almodovar nei colori, Almodovar nel gioco corale degli attori, Almodovar nello sguardo sensuale della telecamera sul corpo maschile.
E poi un po’ di angustia, perché, diciamolo, dai tempi de Il Grande Freddo in avanti, di nove benestanti che mangiano, si parlano addosso e giocano a ping pong chissenefrega?
La ricchezza del cast credo sia stata un po’ la carta vincente di questo film, solo che anche in questo caso, non riesco a condividere l’entusiasmo. A parte la mostruosamente brava Vukotic e la non abbastanza lodata Savino, più brava dei ruoli un po’ macchietta in cui è spesso confinata, tutti gli altri mi sembrano leggermente fuori ruolo. Troppo politically correct, senza uno spazio autonomo, senza chiaroscuri, figurine leggere di un girotondo di carta; anche la Angiolini, che pare abbia stupito tutti, in realtà non riesce a liberarsi da quell’aria da “donna del capo”, da “che ci posso fare se sono stata scelta io” che la perseguita e quindi non può apparire credibile in un ruolo che poteva avere molta più drammaticità.
Accorsi e Buy sono finiti per caso in questo film, continuando a interpretare quelli de Le Fate Ignoranti.
Favino e Argentero nel ruolo della coppia omosessuale sprizzano imbarazzo da tutti i pori.
E Timi, Timi, attore d’altra levatura e autore di un bel romanzo, che diavolo ci faceva là in mezzo? Bisognava toccare tutti i temi “alternativi” e allora un accenno alla coppia interrazziale? Mah.

giovedì 22 maggio 2008

cuscinetti e tutù

Credevo semplicemente di aver accompagnato mia figlia alle prove generali di un piccolo saggio di hip hop; invece mi sono trovata immersa in una scena bizzarra, bunueliana .
Immagino esista tutta una categoria di bambine condotte alle lezioni di danza classica; immagino che a un certo punto queste bambine comincino a crescere e che smettano, per forza di cose, insomma di fisichetti alla carlafracci quanti ne resteranno?
Bene, ho scoperto che c’è qualcuna che non smette. Ho scoperto che ci sono gruppi di diciottenni che versano la loro retta a scuole di danza nascoste nei cortili e continuano a sollevarsi sulle punte anche quando il baricentro è stravolto dalle rotondità.
Così ho trascorso un piccola ora, in un teatro vero, piccolo, ma con tutte le sue cose al posto giusto, con il legno del palcoscenico e i tendaggi pesantissimi e scuri e queste ciccie, questi sederoni, questi seni, questi coscioni si mettevano sulle punte, si muovevano con una grazia impensabile, anche se l’effetto finale non era da serata alla Scala.
Non è meraviglioso mi sono detta? Che le persone facciano cose che nessuno si aspetterebbe da loro? Che ci siano teatrini polverosi dove ragazzone cellulitiche ballano il bolero in tutù a dispetto delle immonde riviste che ci intasano il cervello?
Sì, penso proprio che ci sia del bello nascosto in oscuri angoletti.

martedì 13 maggio 2008

tuttalpiù muoio

molto carino
ma con una sensazione molto morbida di dejà vu

è che una volta letto Seminario sulla gioventù di Aldo Busi
è difficile dimenticarselo

lunedì 12 maggio 2008

stupore e tremori di amelie nothomb

Libro giusto al momento giusto.
Essere in caduta libera in questo sconcertante panorama bancario e trovare le pagine giuste per sghignazzare su se stessi.