La cosa che mi frulla nella testa prima di qualunque altra considerazione è che questo romanzo lo ha scritto un fisico teorico di 25 anni.
Ciò mi ispira immediatamente tante suggestioni positive sul connubio tra fisica e letteratura, ma potrebbe anche significare che costui è semplicemente un ragazzo di grande intelligenza e ordine mentale che ha seguito un bel corso di scrittura e si è limitato, con la sua abitudine mentale allo studio e all’applicazione dei principi studiati, a eseguire molto per bene il compito.
Dato che si tratta di un’opera prima molto osannata ho cercato le stroncature e ho trovato soprattutto critiche alla mancata spontaneità: si tratterebbe cioè di un romanzo studiato con intelligenza nella struttura, nei clichè dei personaggi e nello stile.
Il fascino di questo libro è però semplicissimo: parla di bambini e adolescenti attraverso la sofferenza del sentirsi diverso. Ogni volta che qualcuno racconta un dolore adolescenziale in maniera diretta ottiene l’effetto di parlare a un vissuto irrisolto del lettore: è, per l’appunto, matematico.
Ma che male c’è?
Condivido la critica della mancanza di chiaroscuro nei personaggi collaterali (genitori stupidi, bullette stronzette, marito piattissimo); questo vale anche per Mattia e Alice, autocondannati a un universo talmente autoreferenziale da sfociare nel patologico: voglio dire che qualche situazione diventa un po’ irrealistica e paradossale.
Ma insistere sulle imperfezioni non mi piace, preferisco dire che questo libro mi è piaciuto, che ha dato vita, mentre lo leggevo, a un universo che ha abitato le mie ore e i miei pensieri e a personaggi con i quali mi sono confrontata: non è già una specie di miracolo?
E condivido questa frase:
“... è narrata con una partecipazione emotiva che solo chi è ancora vicino all'adolescenza può manifestare, e attingendo a un bacino metaforico che solo chi ha un background scientifico può possedere...” non a caso pronunciata da Odifreddi.
Uno dei pregi di questo romanzo è la freschezza e cioè che si tratta di una storia di formazione scritta da un ragazzo e i suoi personaggi-ragazzi all’ultima pagina sono ancora dei ragazzi.
Alice e Mattia non diventano adulti all’ultima pagina; ché diventare adulti significa avere la forza e l’amarezza di scendere a compromessi anche con le proprie inferiorità e con i propri fantasmi. C’è un momento in cui anche certi drammi adolescenziali diventano un lusso che non ci si può più permettere, anche gli errori dei genitori smettono di essere la scusa buona per sottrarsi alla responsabilità del vivere, anche vendicarsi della bulletta di scuola cattiva diventa inutile e senza soddisfazione.
La solitudine dei numeri primi si ferma prima e sono ben contenta: avrò da leggere Paolo Giordano nei prossimi anni.
Nessun commento:
Posta un commento