lunedì 27 ottobre 2008

caos calmo parlandone da film

Se non avessi letto Caos calmo di Veronesi, sono sicura che, alla fine del film, mi sarei chiesta di che cavolo parlava. Con tutta la simpatia nei confronti dell’autore, la verità e che sotto sotto penso che le persone di cui parla nel suo romanzo siano insopportabilmente inutili.
Insopportabilmente non per loro colpa, ma per troppa adesione e senso di colpa, ché ad ogni riga finisco per riconoscermi e sentire quindi ugualmente inutile la mia propria esistenza.
Caos calmo (il libro) descriveva una realtà sociale molto simile alla mia, una ritualità di eventi del piccolo esistere nella quale sono immersa anche io. Così la lettura era gradevole, anche perchè, pur in assenza di eventi avvincenti, era ricca invece di pensieri interessanti.
Il film non può tradurre a fondo i pensieri, può suggerire e ottenere che chi ha letto il libro riconosca il passaggio e rifaccia un breve percorso emotivo, ma chi questa lettura non ha fatto? Vede il padre fermo sotto la scuola e, infine, il padre che rimette in moto la macchina sotto richiesta delle figlia e in mezzo un po’ di personaggi con le proprie inutili e borghesi storie, ma la vicenda sembra inesistente, il climax non arriva mai... o meglio il climax nel film è la lunghissima e fin troppo realistica scena di sesso che nel libro mi sembrava avere una importanza decisamente minore.
Insomma il film non rende la complessità del libro e resta solo l’autocelebrazione di chi ha letto il romanzo e simpatizza per il cast (Orlando, Carnelutti, Rorhwacher, una Ferrari di tutto rispetto, un Gassman veramente bellissimo)

mercoledì 22 ottobre 2008

casetta

Non mi hanno ancora dato un posto mio e così non ho potuto riportare da casa lo zaino che trabocca delle inutili cose che fanno “casetta” sul mio posto di lavoro da anni.
Nell’attesa mi appoggio sulla scrivania di una donna e respiro da clandestina la sua atmosfera di “casetta” e mi accorgo che mi fa piuttosto schifo.
Sotto il video, la foto di una bimba sconosciuta mi rivolge uno sguardo continuo che mi inquieta; per giunta la foto, troppo grande, è parzialmente coperta dal disegno di una testa di cavallo tenuto con una molletta da bucato. La cornice del video tutto intorno è macchiata di cartacce: vecchi disegnini della bimba, incerti e presuntuosi, ingialliti e ripiegati; post-it minuscoli che forse risalgono a decenni perché non riescono più a stare incollati da sé e sono stati attaccati con pezzettini di nastro adesivo, intanto la striscia di colla del post-it si è tutta ripiegata e ha assorbito polvere nera: eppure ci vorrebbe così poco per ricopiare i numeretti scritti a matita su un post-it nuovo brillante!
La tastiera traballa perché poggia in malo modo su una specie di agenda da tavolo a foglioni slabbrati, sulla quale perde di continuo l’equilibrio una immaginetta della madonna malritagliata da un cartoncino.
Sul ripiano laterale fanno mostra di sé: tre piccoli calendari da tavolo di argomento religioso, una scatola vuota di gomme da masticare, un tubetto di crema per le mani, una tazza da the sporca (!), un rotolo di carta igienica, scontrini vari sparsi ovunque, anche attorcigliati sul filo del mouse, dal piano superiore della cassettiera, infilata sotto il tavolo laterale, sporgono diversi numeri di una rivista pubblicitaria di mobili a buon mercato.
Dietro la mia testa, in ottima vista, due lunghe stampate che già conosco: uno è l’elenco dei revival anni 70 e 80 (noi che abbiamo visto in televisione questo e quello e poi mangiavamo come merenda questo e quello e poi non avevamo il computer e giocavamo a questo e quello...): ma che palle, io non sono i prodotti di consumo della mia infanzia, io sono altro e più dei programmi della tv dei ragazzi; poi c’è la solita spataffiata sulla maternità: per le mamme che questo e per le mamme che quello e vai di lacrima facile.
Così sono in dubbio se ripristinare il mio arredo da scrivania il giorno che finalmente ne avrò una mia. O almeno cercherò di fare una analisi seria di quello che finirà per rappresentar

lunedì 20 ottobre 2008

cambiare

Oggi è stato il mio primo giorno in una direzione centrale nuova, in una attività che non ho mai fatto, con persone sconosciute.
Il palazzo è antico, austero e prestigioso. Bene, se uno deve lavorare in banca almeno che sia una bella sede.
La posizione topografica splendida, il richiamo toponomastico patriottico.
A metà pomeriggio ho avuto una crisi di noia e solitudine e un improvviso senso di perdita: ma che cosa credevo di trovare, in fondo è l’ennesima prigione!
Non so perché, tra l’altro, in questa stanza dove mi hanno momentaneamente parcheggiata faccia così freddo.
Le quattro persone presenti nella stanza parlano poco anche fra loro.
Mi hanno dato qualcosa da fare. Ci ho messo mezzora.
Il resto della giornata è stato eterno.
Avevo degli amici, avevo delle cose da fare che conoscevo bene.
Tutto da rifare.
Così stanca, così vecchia. Non ne valeva la pena.
Eppure questo posto è il risultato di una mia vittoria personale.
Forse fra poche settimane andrà tutto benissimo, mi ripeto incazzandomi con la mia debolezza.
Ogni tanto penso ai colleghi che ho lasciato venerdì, li penso come una massa indistinta. Terribile! Se proprio decido di focalizzarmi con più precisione su uno di loro mi vengono in mente gli ultimi due, quelli che sono arrivati in ufficio solo da pochi mesi. Sulle persone che conosco da venti anni è all’improvviso calata una lontana indifferenza.
Non vedo l’ora di tornare a casa.

venerdì 17 ottobre 2008

cambio lavoro

che sarà

mercoledì 15 ottobre 2008

armadio

Succede che ho vinto una piccola battaglia.
Dopo 4 anni, forse, di arrabbiatura me ne vado in un altro ufficio, in un’altra direzione, scelta da me, dove io ho chiesto di andare, dove ho fatto un colloquio con due persone che mi hanno scelta e messa in cima alla lista dei possibili candidati.
Ho dovuto vincere le resistenze dei piccoletti che mi tenevano legata qui, fino ad alzare la voce.
Ho vinto.
Meno tre giorni.
Tre giorni assurdi.
Bisognerebbe andarsene su due piedi quando si è costretti ad alzare la voce.
Passo il tempo a passare consegne, a sentirmi in colpa con i colleghi che restano, a ripulire l’ufficio perché le cose personali non te le traslocano e quindi devo farmi il mio borsone. Da questo armadio alle mie spalle salta fuori un universo: spartiti, matematica, fisica, dizionario dei sinonimi, manuali di scrittura creativa, dizionario di inglese, manualetti di francese e di tedesco, racconti e raccontini scritti in ore di noia e follia, disegni dei bambini che non sono più bambini, ritagli di frasi lette in giro e stampate e attaccate sul computer o sull’anta dell’armadio, foto, cd, riviste, pacchi di ricevute di bollettini postali, blister di pastiglie di ferro iniziate e mai finite, foto di un collega morto, aspirina, coltello, spazzola, manuali di finanza, romanzi, umidificatore, asciugacapelli da viaggio...