mercoledì 26 marzo 2008

l'eleganza del riccio e pretty woman

Riusciremo mai noi donne a liberarci dalla maledizione di Cenerentola?
L’unica vera storia che continuiamo a raccontarci, modificando il contesto e sostituendo le scarpette di vetro via via con qualcosa di più attuale.
L’unica vera storia che smuove le masse femminili, che si chiami Pretty Woman o che assuma le sembianze di una favola filosofica come L’eleganza del riccio.
Il gioco delle sostituzioni è facilissimo: Cenerentola ha la duplice forma di una portinaia intellettuale in incognito e/o di una ragazzina superintelligente quanto disperata in un condominio molto lussuoso di Parigi; le sorellastre sono le signore snob e socialiste per posa che abitano gli appartamenti; c’è una fata madrina (l’amica che fornisce vestiti e dolci per l’appuntamento con il principe); c’è una bella schiera di animaletti amici (il barbone, i gatti che popolano il condominio, il ragazzo ex-tossico, la ragazza aspirante veterinario); c’è il principe azzurro che ha la forma di un ricco signore giapponese con tutto il suo seducente armamentario di cultura orientale.
Per quel che riguarda le scarpette di vetro, restiamo incantate: dosi massicce di filosofia, storia dell’arte, romanzi di Tolstoj, musica classica, meditazioni sulle ipocrisie occidentalborghesi e litri e litri di tè agli aromi più diversi. Questa è l’arma vincente: la post quarantenne con aspirazioni intellettuali trova un personaggio nel quale identificarsi totalmente, questo c’era nell'entusiasmo della mia collega che mi ha consigliato il libro quasi con le lacrime agli occhi.
Bella mossa scartare il lieto fine; malinconica, arrogante ma perfetta la frase finale.

martedì 25 marzo 2008

odifreddi e i cristiani

L’idea di leggersi Perché non possiamo essere cristiani a cavallo dei tre giorni delle vacanze pasquali è solo un caso; oppure è voluta.
La visione della benedizione urbi et orbi tramessa da raiuno, con tutta quella pioggia, tanta da sembrare debordare dal televisore, alla luce delle cose lette rannicchiata nel letto che mi ospitava, o sul divano mentre altri (una volta tanto) si preoccupavano di che cosa mettere in tavola, quelle immagini, dicevo, di medioevale cupezza apparivano stranianti, inquietanti.
Il punto è che il libro Perché non possiamo essere cristiani è di una incontestabile lucidità.
E’ abbastanza dispettoso il tono, non c’è dubbio. Come meravigliarsi se qualcuno può sentirsi offeso?
Però... mi sembra che Odifreddi non si ponga neanche il problema di dire Dio esiste o no, o forse lo dice, ma chi se ne frega, lui è ateo, OK. Comunque non mi pare che su questo si soffermi più di tanto. Mi sembra che la domanda che rimbomba da una pagina all'altra sia invece: è normale che io accetti che la mia religione (qualunque essa sia) mi chieda di sospendere la ragione e accettare per fede questioni che appaiono assurde se guardate con l’occhio dell’ateo?
Allora questa lettura diventa una sfida affascinante invece che un insulto.
Punto 1: provare il desiderio forte di avere di fronte l’autore per continuare a discutere; punto 2): provare quel piacere della lettura, quello che non si prova spesso, quello che ti fa sentire la presenza dell’autore schietta, senza mediazioni di stile e tecnicismi, semplicemente una intelligenza che si pone al servizio di una discussione.
Mi bastano solo questi due primi punti perché la lettura di questo libro sia una esperienza importante.
Poi ce ne sono un sacco di altri, di punti...

E mi piace come finisce, moltissimo.
Dio se c'è è uno.
La religione dovrebbe essere una per definizione. Per definizione! Come se ne esce dal parodosso che sono invece tante e tutte dicono di essere la sola vera? Forse abbassandole al rango di complesso di riti in ossequio al contesto sociale? Bisognerebbe occuparsene di questo paradosso.

La scienza è una. Una sola. Se Dio esiste, dico così sottovoce Odifreddi, non si offenda, se Dio per caso esiste, non è che la ricerca scientifica e la ricerca teologica sono più vicine di quanto le religioni costituite vogliono farci credere?

A me l'idea della matematica linguaggio con il quale Dio ha scritto l'universo piace da morire.

lunedì 10 marzo 2008

.. a proposito di essere donna

Il giovanotto, faccia pulita e occhialino alla moda, è seduto sulla panca di fronte; si sente a posto con la coscienza e per questo chiede al signore canuto che è appena salito se vuole sedersi: lo dice sorridendo, sentendosi buono.
E guardo il signore canuto che non è tanto alto, i capelli bianchi sono un po’ lunghi, i jeans dimessi, la giacca a vento fuori moda... ma a me sembra giovane; voglio dire che non avrà nemmeno 60 anni.
Mi chiedo che cosa starà pensando, un signore magro, diritto, scattante, vestito da pensionato solo perché magari l’avranno pre-pensionato; che cosa starà pensando se i boyscout di 30 anni vestiti da yuppies gli cedono il posto a sedere: O meglio, non gli cedono il posto, ma stando ben bene seduti gli chiedono ad alta voce se si vuole sedere; non è la stessa cosa.
Mi dico che per una volta ho intravisto un microscopico vantaggio ad essere donna: quando lo offriranno a me quel posto (quanto poco manca?) non mi offenderò, mi siederò volentieri.

lunedì 3 marzo 2008

La febbre

Perchè la visione de La febbre di Alatri mi ha infastidito? Che sia invidia e acido rimpianto quello che sto chiamando fastidio? Dato che sono qui a fare l’impiegato e non mi sono presa il lusso di spingere in una buca del cimitero i capetti che mi rovinano la vita e si fanno beffe dei miei sogni?
Vediamo... il messaggio che sembra voler passare per il tramite di questo film è: ci sono dei trentenni puri che il mondo marcio vuole corrompere con il posto fisso, ci sono dei trentenni creativi che il mondo mediocre vuole ingrigire per renderli uguali a sé. Allora il trentenne eroico, puro e creativo, si salva licenziandosi e andando a vivere in campagna con i cani randagi, ove sarà raggiunto da strafiga innamoratissima secondo la nota formula pieraccionesca per cui più sei imbranato, perdente e inconcludente più la prima strafiga di passaggio si innamorerà di te, devi solo accettare il fatto che prima era un po’ zoccoletta ma era il suo modo di essere creativa.
Il capolavoro dei luoghi comuni con, per di più, Fabio Volo nella parte di se stesso.