Succede che ho vinto una piccola battaglia.
Dopo 4 anni, forse, di arrabbiatura me ne vado in un altro ufficio, in un’altra direzione, scelta da me, dove io ho chiesto di andare, dove ho fatto un colloquio con due persone che mi hanno scelta e messa in cima alla lista dei possibili candidati.
Ho dovuto vincere le resistenze dei piccoletti che mi tenevano legata qui, fino ad alzare la voce.
Ho vinto.
Meno tre giorni.
Tre giorni assurdi.
Bisognerebbe andarsene su due piedi quando si è costretti ad alzare la voce.
Passo il tempo a passare consegne, a sentirmi in colpa con i colleghi che restano, a ripulire l’ufficio perché le cose personali non te le traslocano e quindi devo farmi il mio borsone. Da questo armadio alle mie spalle salta fuori un universo: spartiti, matematica, fisica, dizionario dei sinonimi, manuali di scrittura creativa, dizionario di inglese, manualetti di francese e di tedesco, racconti e raccontini scritti in ore di noia e follia, disegni dei bambini che non sono più bambini, ritagli di frasi lette in giro e stampate e attaccate sul computer o sull’anta dell’armadio, foto, cd, riviste, pacchi di ricevute di bollettini postali, blister di pastiglie di ferro iniziate e mai finite, foto di un collega morto, aspirina, coltello, spazzola, manuali di finanza, romanzi, umidificatore, asciugacapelli da viaggio...
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