lunedì 31 maggio 2010

nordest, carlotto

In Nordest il giallo classico è una bella scusa per sputtanare un contesto.
La critica sociale feroce invece di essere seincera invettiva si edulcora mediante il racconto da fiction.
Folla di elementi.
Lettura gradevole e appassionante.
Gioco delle parti fra il me lettore e l’autore: il fatto che io abbia capito a meno di un terzo della lettura chi fosse l’assassino è perché io sono molto smaliziata o perché in fondo il colpo di scena non è poi così “colpo” ? O forse l’autore è così scafato da aver proprio voluto suggerirmelo e farmi sentire intelligente così da catturare attenzione e simpatia?

lunedì 24 maggio 2010

acciaio, avallone

Diversamente dal previsto ho letto Acciaio. Ieri (un giorno basta e avanza).
Prima che il già rumoroso parlarne raggiungesse l’apice, dopo la proclamazione del vincitore del Premio Strega.
La prima impressione: è scritto con grande maestria. Chapeau alla giovanissima che tiene sotto dominio lo scritto e i pensieri e non se ne lascia portare alla deriva. Soprattutto mi ha colpito la coerenza stilistica: Avallone sceglie un registro carnale e lo mantiene sino in fondo.
E tutte le stroncature hanno un po’ di malevolenza, consapevolmente o, più probabile, inconsapevolmente.
Siccome ho dichiaro in apertura il merito, posso adesso lasciarmi andare a qualche considerazione.
1) E’ un romanzo per adolescenti. E’ proprio l’anagrafe che fa la differenza. Una cosa è raccontare l’adolescenza da adulti, fare memoria sofferta di slanci e insopportabili e inutili dolori. Una cosa è esserci ancora dentro fino al collo: ci guadagni da matti in freschezza, ma ti perdi la partecipazione emotiva di un sacco di lettori, quelli che sono invece immersi fino al collo nell’età adulta. Così mi serve che se lo legga con gusto mia figlia 14enne, perché impari a riconoscere e dare nome a cose terribili che le passano nell’anima e che non sa ancora identificare, ma resto tiepida io che nei personaggi adulti (le mamme e i papà sostanzialmente) non mi identifico. Sono, quelli di Acciaio, appunto genitori, visti con gli occhi di una figlia giovane; quindi ingigantiti nei loro difetti e troppo generici nelle loro virtù. Stereotipi. Allora: da un lato grande e benefica freschezza, dall’altro ingenuità nei caratteri.
2) Pare che gli abitanti di Piombino si siano un po’ incavolati perché la città scenario del racconto sembra una putrida discarica abitata da anime desolate. Non ci sono mai stata. Chi lo sa chi ha ragione davvero? Ma non faccio fatica a pensare che, nell’entusiasmo della narrazione, l’autrice abbia un po’ calcato la mano, passando e ripassando tinte troppo forti sulla cartapesta del fondale della storia.
3) Il mondo. Il piccolo peccato di questo romanzo è quello che spesso si ritrova nei romanzi di esordio: volerci far stare dentro tutto il mondo. E le morti bianche, e l'inquinamento, e la disoccupazione, e le differenze sociali che avvelenano l'amore, e il velinismo, e la droga, e il disagio, e i maltrattamenti in famiglia, e i pregiudizi nord/sud, e i pregiudizi verso i disabili, e il padre morboso, e il sesso, e l'omosessualità, e l'amicizia, e il mito dei soldi facili... mi manca il fiato già, ma mi dimentico ancora un sacco di cose. Ma una su tutte la devo dire: che cavolo c’entra l’11 settembre? Perché ha dovuto metterci anche questo in un guazzabuglio di tante altre cose? L’episodio sembra proprio incollato a forza. Non sposta di una virgola la vita dei protagonisti. Era ciò che volevasi dimostrare? E se sì, perché? Avrei anche evitato l’insistere della prima parte sui prezzi in lire: non servono a molto e resta il dubbio del volere dimostrare a tutti costi una certa finezza nella ricostruzione storica.
4) Troppa roba e tutta veloce veloce. E’ la nostra vita che è diventata così? Starebbe alla letteratura però rallentare e obbligarci alla riflessione.
5) Molti debiti, ma non è un peccato grave, è comunanza culturale difficilmente occultabile: Ovosodo di Virzì su tutti, anche un po' Giordano, anche un po' Moccia...

elio germano!!!

Elio Germano ha vinto.
A Cannes.

Bello scoprire di essere capace di riconoscere uno grande.
Oggi splende il sole.
Forse sono ancora viva.

lunedì 10 maggio 2010

il viaggio di felicia di william trevor

Lettura benefica di una storia di vite squallide.
All’inizio ti sembra che la storia sia datata di un secolo, tanto i protagonisti che abitano la prima parte della vicenda in un contesto irlandese, ultra cattolico e nazionalista, appaiono isolati e fissi in una tragicità quotidiana.
Poi però Felicia intraprende la sua fuga e insieme a lei, poco alla volta, scopri che siamo invece nella contemporaneità che si disvela sotto gli occhi della ragazza nei suoi bordi sfilacciati, nelle sue scorie urbane puzzolenti, nei disadattati che vagano sui margini.
Drogati, vagabondi, assurdi predicatori di paradisi acquarellati: non sono però loro la minaccia.
L’orco è il funzionario modello, titolare di un ottimo posto dipendente, raccontato splendidamente.
Molto clima Alice Munro con il banale sfaccettato degli invisibili che si fa romanzo, ma con in più il brivido del serial killer.