lunedì 24 maggio 2010

acciaio, avallone

Diversamente dal previsto ho letto Acciaio. Ieri (un giorno basta e avanza).
Prima che il già rumoroso parlarne raggiungesse l’apice, dopo la proclamazione del vincitore del Premio Strega.
La prima impressione: è scritto con grande maestria. Chapeau alla giovanissima che tiene sotto dominio lo scritto e i pensieri e non se ne lascia portare alla deriva. Soprattutto mi ha colpito la coerenza stilistica: Avallone sceglie un registro carnale e lo mantiene sino in fondo.
E tutte le stroncature hanno un po’ di malevolenza, consapevolmente o, più probabile, inconsapevolmente.
Siccome ho dichiaro in apertura il merito, posso adesso lasciarmi andare a qualche considerazione.
1) E’ un romanzo per adolescenti. E’ proprio l’anagrafe che fa la differenza. Una cosa è raccontare l’adolescenza da adulti, fare memoria sofferta di slanci e insopportabili e inutili dolori. Una cosa è esserci ancora dentro fino al collo: ci guadagni da matti in freschezza, ma ti perdi la partecipazione emotiva di un sacco di lettori, quelli che sono invece immersi fino al collo nell’età adulta. Così mi serve che se lo legga con gusto mia figlia 14enne, perché impari a riconoscere e dare nome a cose terribili che le passano nell’anima e che non sa ancora identificare, ma resto tiepida io che nei personaggi adulti (le mamme e i papà sostanzialmente) non mi identifico. Sono, quelli di Acciaio, appunto genitori, visti con gli occhi di una figlia giovane; quindi ingigantiti nei loro difetti e troppo generici nelle loro virtù. Stereotipi. Allora: da un lato grande e benefica freschezza, dall’altro ingenuità nei caratteri.
2) Pare che gli abitanti di Piombino si siano un po’ incavolati perché la città scenario del racconto sembra una putrida discarica abitata da anime desolate. Non ci sono mai stata. Chi lo sa chi ha ragione davvero? Ma non faccio fatica a pensare che, nell’entusiasmo della narrazione, l’autrice abbia un po’ calcato la mano, passando e ripassando tinte troppo forti sulla cartapesta del fondale della storia.
3) Il mondo. Il piccolo peccato di questo romanzo è quello che spesso si ritrova nei romanzi di esordio: volerci far stare dentro tutto il mondo. E le morti bianche, e l'inquinamento, e la disoccupazione, e le differenze sociali che avvelenano l'amore, e il velinismo, e la droga, e il disagio, e i maltrattamenti in famiglia, e i pregiudizi nord/sud, e i pregiudizi verso i disabili, e il padre morboso, e il sesso, e l'omosessualità, e l'amicizia, e il mito dei soldi facili... mi manca il fiato già, ma mi dimentico ancora un sacco di cose. Ma una su tutte la devo dire: che cavolo c’entra l’11 settembre? Perché ha dovuto metterci anche questo in un guazzabuglio di tante altre cose? L’episodio sembra proprio incollato a forza. Non sposta di una virgola la vita dei protagonisti. Era ciò che volevasi dimostrare? E se sì, perché? Avrei anche evitato l’insistere della prima parte sui prezzi in lire: non servono a molto e resta il dubbio del volere dimostrare a tutti costi una certa finezza nella ricostruzione storica.
4) Troppa roba e tutta veloce veloce. E’ la nostra vita che è diventata così? Starebbe alla letteratura però rallentare e obbligarci alla riflessione.
5) Molti debiti, ma non è un peccato grave, è comunanza culturale difficilmente occultabile: Ovosodo di Virzì su tutti, anche un po' Giordano, anche un po' Moccia...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao io sono una ragazza di Piombino. Ho letto molto volentieri questo libro per sapere se era davvero negativo per la mia città come tutti dicevano. Devo dirti che mi è piaciuto un sacco, ha una grandissima storia e dei personaggi sviluppati benissimo...ma niente a che vedere con la Piombino di oggi! Il libro, a quanto descrive la Avallone, è ambientato nel 2001...sembra davvero di essere negli anni 50! Quindi posso dirti che la Piombino di oggi, pur avendo Le Acciaierie e la maggior parte degli abitanti operai, non è come viene descritta nel libro....nemmeno lontanamente!