Mi sto guardando nello schermo di una videoconferenza.
La videoconferenza è una invenzione moderna e serve a fare le riunioni a distanza.
Nella saletta ci sono due grossi schermi: in quello di sinistra vediamo noi stessi, quello di destra è diviso in 4 riquadri, uno per ognuna delle sale collegate.
La consulente autoconvinta che ha organizzato la riunione ha chiesto un giro di presentazioni che sono state veloci e confuse.
Non solo io non ricordo nemmeno un nome, ma non riesco neanche a collegare le immagini alle città da cui arrivano. Le persone negli schermi sono piccole e scarsamente definite. Distinguo gli uomini dalle donne solo per una maggiore fantasia nell’abbigliamento femminile. Le bocche non si vedono e si intuisce chi parla dalla postura della schiena che si allunga verso il tavolo.
Passo il tempo a guardare me stessa nello schermo di sinistra dove l’immagine è più grande e mi è molto vicina.
Così noto che sono diversa dagli altri. Loro sono capaci di stare immobili e diritti e guardare fisso e non fare rumore.
Invece mi vedo oscillare il busto di continuo e muovere le mani verso il viso, sbattere le palpebre, grattare la punta del naso, sostenere la guancia con il palmo, strofinare l’arcata del padiglione auricolare, picchiettare il mento, carezzare con il bordo dell’unghia l’arcata sopraccigliare.
Non mi piaccio, sembro nervosa, scontenta, sul punto di fuggire, annoiata.
Tremendamente annoiata.
Tremendamente annoiata.
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