martedì 5 ottobre 2010

La battuta perfetta, Carlo D'Amicis

A partire dal 1960 la storia della televisione italiana e la storia delle persone, degli italiani, sono diventate la stessa cosa? Di libri che provano a raccontarci eventi degli ultimi cinque decenni utilizzando, anche abbondantemente, l’evoluzione dei programmi televisivi ce ne sono tante. L’unicità e la genialità di questo La battuta perfetta di Carlo D’Amicis sta nel fatto che qui le due cose sono talmente compenetrate da risultare indistinguibili, ché Canio e suo padre, i protagonisti di questo strano romanzo di formazione, non solo sono persone che lavorano nella televisione (la vecchia Rai bigotta o la Fininvest smutandata che sia) ma “sono la televisione” e nel contempo sono gli italiani, educati forse, poi sedotti, trasformati, ammutoliti e svuotati dalla televisione.
E non è un romanzo leggero, nonostante le barzellette qua e là, nonostante la snellezza del racconto, l’allegria della famiglia di origine di Canio, la carrellata di amati programmi e personaggi, qualche gossip, la cocaina e il sesso facile merce di scambio che sbarluccicano nella seconda parte del racconto.
I due protagonisti, di pagina in pagina, sono sempre più sgradevoli e perdenti ma insieme sempre più rappresentativi di ciò che noi siamo e del nostro muto aderire alla chiamata catodica.
Di D’Amicis ritrovo ancora una volta questo ritmo narrativo piacevole, questo respiro ampio, questa capacità di fare epica dalle cose volgari, perché un narratore più ruffiano e modesto avrebbe elencato vip e programmi leggendari, titillando il solito fattore nostalgia. Invece D’Amicis sembra comporre un amaro libro di storia, la nostra personale per l’appunto.

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