mercoledì 9 giugno 2010

il saggio finale della scuola di danza alternativa

Prendono venti bambine in età di scuola materna e le buttano su un palco con un costumino bianco molle. Fanno andare la musica a palla e spengono le luci. Le bambine vagano a caso. Le più diligenti copiano fuori sincrono i gesti della maestra nascosta sotto il palco. Una furba si incazza e si siede nel bel mezzo, rifiutandosi di partecipare; un’altra la abbraccia per solidarietà. Le altre vanno avanti scavalcandole.
In che senso questa è una scuola?
Quelle di scuola elementare sono su di un livello solo perché tutte almeno mostrano di sapere che stanno facendo parte di una coreografia; la loro capacità di coordinazione è però minima; la maggior parte si distrae, saluta fra il pubblico, copre gli occhi per via delle luci forti, scambia parole con le vicine.
Credo che avrebbe fatto molto più spettacolo metterle lì ferme solo un minuto e farle alzare anche solo un braccino ma, diamine, tutte insieme, stop: che bel quadro sarebbe, un costume colorato e un solo movimento, uno solo, ma coordinato e all’unisono. Meglio di questi quarti d’ora abbondanti di passeggiate, una specie di ora d’aria sul palco di fanciulle in fiore.
Ho provato tenerezza per la grassottella: ci provava a fare la candela, cento volte si dava lo slancio ma poi le gambe ricadevano a caso, l’addome rotondo e inerte. Invece poi in piedi era quella con più senso del ritmo e riusciva a saltellare bene lateralmente per esempio mentre le altre finivano col girarsi e zampettavano confusamente. La più magra soprattutto pareva un legnetto fratturato in più punti che roteava senza senso le lunghe braccia filiformi.
In che senso questa è una scuola?
E soprattutto, in mezzo a tante bambine, perché alla fine dieci minuti di esibizione di una maestra, in costumino a fior di sedere e chiappe esposte?

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