L’albero di Natale in un angolo del soggiorno ho deciso che è mio.
A nessuno in casa sembra importare poi tanto.
Solo uno di loro mi ha chiesto distratto qualche giorno fa: ... e l’albero?
Poi si è dimenticato di aspettare la mia risposta.
Come un bravo soldatino ho però immagazzinato l’input e ho prodotto l’output nel giro di poche ore.
Lo stelo di plastica è sempre lo stesso da quindici anni.
Quindici per due fa trenta e quindi per trenta volte ormai il fil di ferro rivestito di aghi verdone scuro viene torto e ritorto, per assumere dimensioni credibili, in fondo alla parete e poi per rattrappirsi nuovamente nella scatola di cartone sempre più slabbrata.
Ho due scatole di palle nuove, azzurre e oro.
Ho dismesso il filo luccicante che perde i pelini tutto intorno sul pavimento e l’ho sostituito con un cordolo di palline lucide e discrete.
Ho riciclato un pezzetto di carta mimetica e vi ho posato la grotta, economica, quella con i pupazzetti già incollati sopra e tutti intorno cinque o sei pecorelle, un paio di improbabili pastori, i tre Re Magi, un’oca aggrappata a un pozzo...
Mi piace. Mi piace, soprattutto, che funzionino tutte e tre le serie di lucine.
Non se l’è filato nessuno.
Ho lasciato le lucine accese e le luci centrali spente, mi sono seduta sul divano e sono rimasta a guardarlo.
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