Il meglio di Amabili resti avviene nelle prime pagine: è straniante l’attacco della voce narrante e non solo perché si tratta di una voce narrante morta, ché in realtà a questo tipo di espediente narrativo siamo ormai abituati. Quello che fa colpo è il come e il perché l’io narrante sia morto, la descrizione particolareggiata e disincantata dell’orrore che ha condotto alla morte della ragazzina, stuprata e fatta a pezzi.
Catturati dal folgorante inizio, turbati dal fatto che lo stupro è autobiografico, ammaliati dalla freschezza e dalla dolcezza delle immagini adolescenziali quasi non ci accorgiamo che il bellissimo racconto fa però via via un po’ fatica a mantenersi all’altezza e comincia a oscillare fra il noir, la storia di fantasmi e il melò, planando su un lieto fine un po’ nebuloso.
Così tutti questi elementi, tenuti insieme da quello stile di prosa americano così diretto e fluido e cristallino, in conclusione mi sono sembrati sfocarsi in un secondo piano e la cosa che ho apprezzato di più, fino alla commozione, è stato il tentativo di raccontare una famiglia, un padre, una madre, tre figli e l’incomprensibile fatica del vivere amandosi.
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