venerdì 2 novembre 2007

Il sopravvissuto, di Antonio Scurati

Immagino: di trovarmi di fronte la me stessa liceale e mi chiedo se ci prenderei insieme un caffè. A 48 ore dalla lettura delle ultime pagine de Il sopravvissuto di Antonio Scurati è questo il pensiero predominante. Andrea e Vitaliano, ovvero io e la mestessaliceale. Che cosa abbiamo da dirci lei ed io, la mestessaliceale da una parte e la sopravvissuta all’adolescenza dall’altra? Che cosa ho da invidiarle, quali ideali inventati, nei quali lei sta stupidamente credendo, le smonterei cinica, quale disprezzo per l’ipocrita accomodamento nel mio grigiore lei mi sputerebbe in faccia e, soprattutto, la mestessaliceale quale delitto tremendo metterebbe in atto per poi puntarmi contro il dito?
Un rapporto irrisolto con la propria giovinezza e la necessità di una tragedia catartica intorno ai quaranta anni, per spedire la mestessaliceale definitivamente dall’altra parte del globo, in una terra promessa dove io e lei dovevamo andare insieme, ma verso la quale non mi resta che restituire al mittente una cartolina senza testo.
Questa è la chiave di lettura che mi ha fatto apprezzare questo romanzo come una esperienza di grande valore emotivo, questo lo stato d’animo con il quale ho cercato dentro di me l’eventuale “... ingratitudine dell’adulto che non ricambia lo sguardo rivoltogli dalla sua perduta giovinezza”.
L’impietoso, eppure appassionato canto sulla scuola mi cattura: sono pagine precise, cattive, realistiche. Fanno riaffiorare ricordi, riscatti mancati, amarezze e bilanci a posteriori da far combaciare con quello che vedo oggi, da madre di studenti.
Ma il romanzo parla di molto altro, perché quell’arma, che già nelle prime pagine viene puntata sulla mediocrità e la noia e la superficialità e il degrado spirituale, può risuonare con lo stesso fragore per esempio in questo ufficio o in uno studio televisivo o in un ospedale pubblico o in un tribunale o in mille altri luoghi di lavoro. Quante volte è già successo nella mia immaginazione che la mestessaliceale sia entrata dalla porta di questa squallida stanzetta detta ufficio e abbia fatto casino, un bellissimo, fragoroso, scandaloso, beffardo, orrendo casino? Quante volte ha già operato nella mia vita questo circuito mentale chiuso: l’adolescente era grandiosa, l’adulta si sente fallita e invece di reagire gioca con il fantoccio dell’adolescente e lo manda in avanscoperta, invidiandone la freschezza e nascondendosi dietro la sua inesperienza.
E' un vezzo divertente la citazione ripetuta, è un vezzo che pratico spesso e ho ritrovato in Scurati. Sono tra di voi, ma non con voi dice il protagonista de Il sopravvissuto (come i guerrieri orgogliosi de Il rumore sordo... ripetevano aut facere scribenda aut scribere legenda); così mi sembra calzante per caso l’ultima delle tante frasi appiccicate con lo scotch intorno al mio computer: “la colpa delle cose è sempre dei migliori” e mi ricordo di averla fissata per ricordarmi di sentirmi responsabile ogni volta che pretendo di sentirmi migliore di quelli che con superbia considero errori altrui.
E insomma, forse questo è anche un romanzo sulla correità, sull’invito a non accomodarci sulla poltrona bianca per farci intervistare, accanto al plastico della nostra esistenza, e intanto giocare con il pupazzetto che ci rappresenta (bella immagine, mi è piaciuta tanto!).
Ma non è così semplice, ché una frase letta da una intervista all’autore mi rimescola le carte: “...ho cercato di raccontare una storia sull'11 settembre senza nominarlo mai...”. Già, la datazione puntuale dei capitoli non era solo un espediente per non confondere fra il presente post delitto e il passato di introspezione del professore. La storia termina il 10 settembre 2001 infatti e la potenza della narrazione deposita il lettore alla vigilia dell’orrore con un sentimento di partecipazione meno distaccato, incapace forse di tracciare la linea netta fra buoni e cattivi oltre la quale collocarsi con ottusa certezza.
Una cosa importante contesto a chi, a proposito dello stile di Scurati, parla di (cito):... narcisismo, virtuosismo, autocompiacimento della bella parola, prolissità, pomposità... Non è vero, si tratta di un lessico affascinante, non c’è una sola parola che sia incomprensibile o volutamente per addetti ai lavori, lo stile è elegante, tutto qui; perché non provare ad apprezzarlo, a farsene ammaliare, a godere di questa prosa spessa e carnale?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Antonio Scurati in questo libro ha semplicemente rubato stralci di vita di un giovane che ha pagato troppo. E facendolo, ha dato l'ultima spinta verso il baratro al "vero" Vitaliano Caccia.

ilse ha detto...

è un commento oscuro e affascinante; peccato non saperne di più; o forse no...