Ho letto I giorni dell’abbandono un paio di anni fa; mi ricordo bene che l’interesse del libro non risiedeva nella storia piuttosto banale e a volte fastidiosa nella sua prevedibilità, quanto nella scrittura, nel racconto dell’inferno mentale della protagonista: il marito, i bambini, il vicino di casa, le amiche (o supposte tali) erano figure lontane, dalle quali alla protagonista arrivava una voce molto ovattata: era come se la donna si muovesse all’interno di una campana insonorizzata e da quei vetri trasparenti vedesse gli altri vivere e agitarsi, all’inizio con impotente dolore, progressivamente con sempre più attutita e quasi apatica indifferenza.
Ecco tutto questo nel film scompare, nel film resta solo la banalità della vicenda, una qualunque storia di corna alla quale la recitazione di Margherita Buy non riesce a dare forza.
Anzi: aver dovuto raccontare la vicenda ha finito col sottolineare ancora di più le debolezze nascoste nel libro.
Si potrebbe fare un lungo elenco ma scelgo su tutti due punti.
a) la figura del musicista; avere scelto di mettere al piano di sotto un grande musicista toglie credibilità: insomma 35enni mollate dal marito per una ragazzina non preoccupatevi, c’è sicuramente nel vostro condominio un musicista di fama internazionale scapolo innamorato di voi, come no!
Io ricordo invece che nel romanzo il musicista del piano di sotto era uno sfigato solitario che sapeva suonare uno strumento, e il fatto che la protagonista lo rivalutasse sentendolo suonare al concerto non significava che se ne innamorasse, e la soluzione finale del “ci amammo quietamente” io l’avevo interpretata come ripiego tiepido, non come happy end.
b) se, come nel libro, scelgo un livello di racconto mentale, posso permettermi di trascurare le quotidianità; se scendo di livello e devo rappresentare con i gesti quotidiani le difficoltà della mente, quel quotidiano deve avere un minimo di realismo; se poi quello che sto raccontando è l’inferno di una casalinga madre di due figli rimasta sola, santocielo, quel quotidiano è “il problema” , quel quotidiano deve giganteggiare, quelle banalità (chiamiamole così) fatte di malattie, figli, cucina, figli, spesa, scuola, figli, pulizie, figli... sono la valanga sotto la quale stramazza la donna normale che si vuole rappresentare; invece, nel film, l’appartamento perfetto e i figli che vanno a letto a comando e si abbracciano tra di loro sono di un irrealismo irritante. Ma non sono obiettiva, lo so...
1 commento:
uhm, sai che mi manca questo film?
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