E’ piuttosto strano Brucia Troia; nonostante la collocazione geografica abbastanza intuibile e la datazione precisa degli avvenimenti, la storia sembra vivere in una dimensione di epoche lontane e di personaggi primordiali. C’è un quartiere mitico e infernale popolato di derelitti, c’è un inarrivabile olimpo nel quartiere dei benestanti e c’è un luogo sospeso nel tempo e nello spazio: un brefotrofio di rituali assurdi dove si forgiano follie.
Non sembrano forse gli strampalati eroi un po’ quelle figure da epica delle scuole medie, raccontate da versi omerici tradotti in un italiano così lontano non solo dal parlato ma anche dalla scrittura familiare? Figure che diventano figurine. Archetipi senza famiglia che nessuno cerca, che scompaiono in un posto, riappaiono in un altro cambiando nome.
E non sa di fumetto anche tutta quella storia di padre Spartaco e del suo santuario di plastica?
Il susseguirsi degli eventi è ai margini di altre vite che forse in un altrove scorrono e progrediscono e guardano la partita del secolo, Italia-Germania 4-3, e costruiscono un progresso al quale i protagonisti del libro non partecipano; anzi quando sono chiamati a sfiorarlo è per devastarlo con il fuoco.
Li osservi come si osservano insetti, senza capire; e ti commuovi soprattutto per quei poveri gatti...
Ma Troia, prima o poi, brucia: dovremmo ricordarcelo.
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