“Siamo pazzi, tutti”, dice Sandro Veronesi e sta pensando a ben altra cosa mentre lo dice in Caos calmo.
A me viene in mente questa frase, e il senso che può avere se riferita comunque al fatto che esiste qualcosa di bellissimo in questo pezzo di universo e di straccio infinitesimo di momento cosmico cui ci è dato di appartenere.
Esistono cose bellissime delle quali non ci accorgiamo, delle quali nessuno ci ha mai raccontato, o delle quali abbiamo avuto un assaggio e poi, presi dalle infelicità inutili che amiamo accogliere in grembo quotidianamente, abbiamo dimenticato.
Esiste la Bellezza, richiami di paradiso che si mostrano a noi, idioti che ce ne dimentichiamo e ci lasciamo lordare dalla Volgarità, dalla Bruttezza.
Penso così e ho quasi le lacrime agli occhi mentre ascolto e sento con tutta me stessa Juan Diego Flòrez cantare dal vivo, a pochi metri da me; ne osservo la schiena e l’addome diritto e i movimenti delle braccia e del collo; e la testa e le mani; non sembra umano o forse è troppo umano e siamo noi che ci siamo rassegnati troppo in fretta a non esserlo.
Ogni nota si riconosce pulita, legata alle altre da fili morbidi, prodotta da un numero infinito di respiri sapienti.
Suono schietto, alto.
Perfetto. Che cosa mai potrà significare perfetto? Forse non è il termine adatto.
“Bel canto” lo chiamano, “dono degli dei” mi dico.
Da lassù in alto è un tripudio: applaudono, gridano, battono i piedi.
Nella prossima vita questo vorrei essere: un tenore.
Oppure semplicemente il tappetino di Flòrez, rannicchiata sul pavimento ad assorbire le gocce magnifiche della sua magnifica fatica.
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