venerdì 23 novembre 2007

Ancora dalla parte delle bambine, numero 1

Avrei voluto fare un commento a Ancora dalla parte delle bambine alla fine della lettura ma è impossibile. Sono solo all’inizio e sarà dura finirlo in fretta; ogni riga è densa. E si affollano cose da dire ad ogni pagina.
Potrebbe essere un saggio, ma mi accorgo che lo leggo come si legge una storia; potrebbe essere la storia negli ultimi 30 anni delle donne che mi circondano, ma mi accorgo che lo leggo come se fosse la mia storia.
Perché ero bambina negli anni settanta, perché ho letto Dalla parte delle bambine, perché ho fatto microscelte e compromessi, perché mi ritrovo stranita e amareggiata di fronte a che cosa sono, a come sono le mie coetanee, a come sono mia figlia e sue amiche. Perché mi chiedo se sono sempre stata vigile e consapevole di quello che stavo scegliendo.
Parliamone, mi sembra che mi dica questo libro. Vediamo di capire come è andata. Vediamo di sapere almeno che cosa è successo prima di arrivare a poterci chiedere il perché.
In mezzo a qualche inconsapevole connivenza mi scopro però compiaciuta a dire “... questo infatti a me non è mai andato giù...”
Per esempio leggere le considerazioni sulla filosofia e sul meraviglioso mondo dei negozi e delle riviste per mamme mi ha riportato indietro alle gravidanze e a quello strano senso di fastidio che avevo per il lezioso incanto. Mi ero presa tutta la colpa allora: sono io che sono timida, o forse ho un cattivo rapporto con il mio corpo e questo essere scaraventata al centro dell’attenzione mi mette a disagio, oppure sono una anticonsumista esagerata che vede il diavolo del profitto anche dove c’è buona fede, oppure sono poco sensibile o poco femminile e non sono portata per la maternità e chissà che disastro di madre sarò... oh insomma, leggendo il libro della Lipperini ho trovata suggerita la parola giusta: umiliazione! Umiliazione: questo finto mondo dove un neonato è solo un batuffolo di tenerezza e tu mamma un’idiota da istruire anche su come infilarsi un reggiseno o come cantare una ninna nanna ti umilia. Ti suggerisce soavemente una sensazione di inadeguatezza, ti induce a una triste posa bamboleggiante e, ovviamente, voilà, ti propina decine di assurde e costose soluzioni. E già che ci sono dico una cosa molto poco simpatica, ma sono certa che molte donne mi darebbero ragione: quelle cazzate micidiali della preparazione al parto, quei suggerimenti soft e severi insieme su come respirare, su come (udite udite) esercitare i muscoli pelvici in vista dello sforzo che dovranno compiere, cazzate micidiali appunto e lo capisci in un colpo solo quando tuo figlio che esce ti squarta viva e una faccia da stronzetta ti chiede scuotendo il capo se hai frequentato il corso pre-parto, perché è chiaro che è sempre colpa tua... Questo interiorizziamo da sempre e per sempre: è colpa nostra, di tutto quello che ci succede. Dal dolore del parto al figlio drogato, dallo stupro all’osteoporosi.
Ma sono solo all’inizio... e credo che ognuna di noi potrebbe scrivere dieci libri su ogni capitolo.
Questo è un libro aperto, che vive.

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