martedì 10 novembre 2009

Emmaus Baricco, 2

Poi questo: le operazioni nostalgia. Ne abbiamo lette tante ed erano fatte tutte più o meno elencando, piazzando qua e là nella narrazione musiche e canzoni, programmi televisivi, capi di abbigliamento, marche del supermercato, tinelli e notizie del telegiornale...
Qui Baricco fa una cosa molto diversa: ricrea un universo precisissimo, quel tipo di famiglie, in quegli anni, con quel bagaglio di cultura e valori: quello. Ma non ci sono oggetti, non ci sono canzoni d’epoca, pantaloni o polacchine: eppure la descrizione è perfetta, profondissima, coglie nel segno, dice esattamente quello che serve.

Poi ancora: forse ha intuito bene il senso della storia Daria Bignardi, forse davvero il protagonista del romanzo è il noi che diventa io, un noi dal quale si staccano mano mano gli io, ognuno va a vivere la sua diversa storia; oppure di più: è che proprio siamo noi, prima, perché siamo un indistinto insieme di possibilità che mano a mano prende forma: e Bobby prima, poi Luca, poi Il santo sono rappresentazioni di quel che poteva essere se avessi preso una strada diversa, di quel che ho superato, di quella esperienza che mi ha indirizzato definitivamente in una direzione o in un’altra.

Poi alla fine: erano anni che aspettavo che qualcuno raccontasse una cosa che esiste veramente per moltitudini di persone: la religione dentro la vita di tutti i giorni, che chissà perché vigliaccamente scompare quasi sempre nelle narrazioni, come se si avesse timore a scandagliare nei gesti e nei perché di preghiere, riti, valori, gesti onnipresenti nel quotidiano di tanti di noi.

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