martedì 14 settembre 2010

Il mangiatore di pietre, Davide Longo

Bravissimo Davide Longo, che scopro essere un ex Holden. Molto molto esperto nel lavorare di sottrazione, asciugare, asciugare fino a lasciarci una frase secchissima e scarna.
Gli amanti del genere ritrovano con grande piacere Cormac McCarthy, al quale d’altra parte viene reso esplicito omaggio all’inizio del libro: simile il ritmo narrativo e il taglio delle scene, il dato umano stilizzato fino a una essenzialità primitiva e il giganteggiare del paesaggio come dato palpitante, più protagonista dell’uomo.
Le cose sono povere, le persone silenziose, i fatti avvengono e basta. La narrazione alterna dialoghi lapidari e zoom sugli oggetti, la cui posizione geometrica concorre a dipingere nature morte che tracciano i fili del racconto.
Un po’ di splatter ogni tanto ci ricorda che questo è un noir; l’autore mantiene un ritegno quasi eccessivo nel dirci la vicenda, come se avesse preferito seminare una manciata di indizi, lasciando al lettore il gioco cerebrale di ricostruirci intorno una storia possibile. Il risultato è un effetto bello di romanzo moderno e misterioso, asciutto e “maschio”. Maschio anche qualche stereotipo quale quello della donna poliziotto che sembra non vedere l’ora di infilarsi nel letto del “malavitoso” senza nessuna preparazione sentimentale, non dico corteggiamento, ma anche solo una minima comunicazione verbale: insomma Cesare sembrerebbe proprio l’uomo che non “deve chiedere mai” e che, dopo una modesta (ma evidentemente comunque bastante) prestazione virile, niente lascia detto, niente è tenuto a dire. Questo mi ha fatto un po’ sorridere...

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