lunedì 22 marzo 2010

The reader, il film

The Reader è costruito con dei salti storici dagli anni cinquanta in poi, decennio dopo decennio, con una ricostruzione degli ambienti e dei vestiti e delle atmosfere. Inoltre ha, in contrasto con la drammaticità del tema proposto, una messinscena pacata, mai urlata, molto dignitosa, oserei dire un po’ snob. Questi due elementi insieme producono secondo me un risultato piuttosto affascinante.
Altro elemento di forza del film è la novità dell’angolatura per cui si entra in un tema terribile come lo sterminio nazista degli ebrei da una storia laterale, intimista.
In questo credo che il regista abbia avuto successo: facendoci passare attraverso un lungo prologo complice di sesso e sentimento adolescenziale e meravigliosi esterni di “ragazzi in costume da bagno nel sole anni cinquanta” ci lascia un po’ spiazzati quando nella seconda parte del film entrano in scena i campi di sterminio e ci costringe a considerare la figura della protagonista con un pochino di pietas. Voglio dire che il film riesce a riprodurre un minimo di complessità, insinua il dubbio e un suggerimento di analisi sulle ragioni che possano aver prodotto la complicità di una intera nazione all’orrore.
E’ comunque una pietas molto temporanea, ché anzi, alla luce di quello che si viene a sapere nella seconda parte, anche ciò che è avvenuto nella prima si carica di una luce sinistra e per il personaggio femminile resta una definitiva parola di condanna.
A partire dal titolo, i libri dovrebbero avere un ruolo fondamentale, anzi forse salvifico. Eppure il salvataggio non si compie. E’ come se obbligare il ragazzo a leggere fosse per Hanna una specie di gioco masochista, che non produce nulla nell’anima. Anche quando la lettura avverrà tramite le audiocassette questo sarà mezzo materiale e di superficie per imparare a leggere e scrivere, non per modificarsi nel cuore. Devo poi aggiungere che l’aver inserito il prologo dell’Odissea fra i brani ricorrenti, mi ha fatto immediatamente pensare a Primo Levi e al meraviglioso capitolo sul Canto XXVI dell’Inferno, quindi mi è sembrata quasi una bestemmia.
D’altra parte con i libri Hanna si suicida. Forse che invece di salvarla, la conoscenza è servita alla consapevolezza dell’enormità della colpa?
Una curiosità alla fine: la signora ebrea, ex bambina scampata ai lager e prima testimone d’accusa contro Hanna, è molto antipatica, scostante, immersa in una atmosfera di ultra lusso nella quale la foto in bianco e nero della famiglia sterminata sembra addirittura fuori posto, una specie di soprammobile d’antan. Un errore stilistico o una scelta?

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