venerdì 29 febbraio 2008

ridono

Bisognerebbe raccontare di ciò che si conosce.
Io conosco solo le tegole di amianto dietro la piccola finestra dell’ufficio di via Sile; così di questo potrei raccontare. E del davanzale di marmo grossolano. Poi anche ci sarebbe da raccontare del pavimento che intravedo fuori della porta blu, attraverso la fessura d’aria che la mia collega di stanza mi concede: un compromesso, credo che lei creda, fra il suo bisogno di nido chiuso caldo e oscuro, in cui trasforma questa piccola stanza al mattino e il mio sconsolato desiderio di luce e spazio, insignificante rappresentazione di altri tempi e altri posti.
Il pavimento, dicevo, è fatto di quadratoni di linoleum avana chiaro, che ricoprono misteriosi fasci di cavi, e il fatto che di quadratoni si tratti, invece che di un unica copertura, consente altrettanto misteriosi interventi localizzati e decimetrici su questo orgoglioso procedere di informazioni e energie sotterranee, che alimentano il nostro fare quotidiano.

Inoltre conosco i passi.
Quello saltellante del piccoletto che cerca così una elevazione di qualche centimetro al suo testone. Quello strascicato del depresso, che non ce la fa a tirar più su di tanto le gambe. Quello della truccatissima a tacchetti e una profumazione dolciastra che ristagna minuti dopo il suo passaggio. Quella del gradasso, pesante. Quello della stronza a passetti ravvicinati...

Da qualche giorno ad ogni usuale rumore si è aggiunto un clac sordo che si produce proprio qui dietro l’uscio mio, un segnale di irregolarità fra i quadratoni, un dislivello impercettibile allo sguardo ma pericolosissimo.

Prima il tipastro grigio del fondo del corridoio ha incollato un pezzo di scotch marrone da pacchi fra le commessure.
Poi la tettona in minigonna ha preso un bustone marroncino con l’intestazione ufficiale nell’angolo in alto a sinistra, l’ha rovesciato e l’ha messo in equilibrio su un pezzo di cartone più pesante.
Infine il lungo, quello tifoso dell’Inter, con un grosso pennarello nero ha scritto ATTENZIONE PERICOLO.

Allora il ritmo dei rumori è cambiato; i passi rallentano, il tempo di capire da lontano che cosa sia lo strano oggetto al centro del corridoio, qualche commento.
Io non ho trovato pennarelli, ho preso un evidenziatore azzurro e ho tracciato il teschio, quello solito, quello con le due ossa lunghe incrociate dietro la nuca e per smania di perfezionismo ho disegnato anche i denti, ma non mi sono venuti bene e così le mie facce da teschio, una davanti e una dietro, sembrano sorridere.

Adesso dietro la mia porta il clima è cambiato: tutti passano più piano, si scambiano commenti, si chiedono chi è stato a disegnare. E ridono.
Ridono!

1 commento:

Cletus ha detto...

ehi, hai un microscopio in mano, mica una penna (o una tastiera). C'e' tutto un mondo, qui dentro.