Qual è la metafora di Sette Piani di Dino Buzzati? Evidente, la vita stessa: cominci dal settimo e guardi con scaramantico distacco i poveretti dei piani inferiori, giù giù fino all’orribile primo piano degli incurabili moribondi. E un po’ alla volta li fai tutti quei piani, anche tu, inesorabilmente.
E tutti intorno a prenderti in giro, ché si scende di un piano, ma è provvisorio, è una parziale riorganizzazione, è un errorino burocratico senza peso; e, illuso a volte, ma a volte disperato, scendi sempre più giù, completamente impotente.
Resta il dubbio se chi ti sta intorno ti stia prendendo in giro sapendo di farlo, o se si tratta di (a loro volta inconsapevoli) ingranaggi di una burocratica e insensata organizzazione fine a se stessa: ma allora, mi allontano un momento dall’idea della metafora della vita e della morte e mi trovo invece immersa fino al collo nella metafora dei luoghi di lavoro per esempio.
Quella volta che lo spostamento nel triste capannone di periferia era solo per un paio di mesi, tre al massimo, sai i vostri uffici sono già pronti; e via, una volta che ci sei...
Oppure quella volta che andava in pensione l’anziana signorina della copia, lasciando indietro qualche lavorino da ridistribuire, sì, lavori insulsi, a volte umilianti, però che vuoi fare, temporaneamente ce ne prendiamo un po’ per uno, finché non si trova una soluzione organizzativa migliore e... da 4 anni ormai, rispondi al telefono e batti gli indirizzi su Word.
O ancora quella volta che c’era un buco da coprire in una città lontana; alla prima possibilità il posto in sede è tuo e sono 8 anni che fai il pendolare.
1 commento:
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